Rita Pacilio - Prima di andare

“Quando sono qui non ho parole
lascio fuori il mio uragano
incustodito, lascio a casa

la rabbia di cenere e carbone,
la tua bestemmia
pronunciata in basso, fino allo scorno
persuadendo il vizio dell’amore.”

                                Rita Pacilio 

Questi versi tratti dall’ultimo libro di Rita Pacilio, “Prima di andare”, testimoniano bene gli esiti di un lavoro serio e rigoroso che la poetessa sta portando avanti da tempo.

In effetti questo libro è il terzo di una trilogia iniziata nel 2012 con “Gli imperfetti sono gente bizzarra e Quel grido raggrumato, tutti editi da La vita felice, in cui si articola un discorso poetico incentrato sulla Pietas, verso le vite disperate, straziate, martoriate, da una parte, e verso la lingua, la voce e la memoria del verso e della bellezza dall’altra.

Nel verso prendono vita energia musicale e dolore esistenziale, pietà e imperativo estetico alla ricerca di una umanità poetica ed esistenziale di rara intensità.

Poche poetesse hanno testimoniato come lei la visionarietà solidale nei versi e nella vita, basata su un’etica nomade post-femminista, post –sperimentale e post-identitaria.

A Rita interessano le urla di dolore della Storia di cui nei versi traccia contaminazioni e incubazioni plurali di futuro.

Leggiamo insieme alcuni passi dalla 1^ lettera:”…Vieni a vedere chi sono diventata, inavvertitamente, apparsa sul mio volto, mentre da lontano, da lontanissimo albeggi gli attimi mutilati ai miei”. E’ dai tempi di Rimbaud e Baudelaire che non leggevo prose poetiche di tale intensità…

Il libro si compone di cinque lettere d’amore e trentanove poesie e non si capisce dove inizia l’amore e dove finisce la poesia, la lettura è tutto un brusio jazz, un testamento automatico di confessioni, identificazioni, memorie e desideri che attraverso l’alter ego di una donna anziana, si fa medium della memoria della vita e del mondo.

Si fa strada nei versi e nelle poesie il concetto di “Bene Sociale” e di “Altritudine”, come leggiamo ancora nell’esemplare 1^ lettera: “…Un’altritudine, un traliccio in cui passa la filovia, il tram, il circuito di esperienze e storie, gli schiamazzi, le parole fioche, le abitudini che avevamo. Io sono la Storia…”, ed albeggiano tra i versi, lampi di liberazione:

”Volerò acuta per svuotare/la libertà dalla condanna di qualcosa”; “”Non maledire/le parole dei poeti che mi hanno/voluta in sposa e poi copiata”; “Dietro di me impronte larghe/gomiti profondi di pazienza/ urlati in questa vita senza voce”; “Mi sono allungata accanto a te l’altra sera/sembravo diluita nella lacrima distesa”; “Mi riconoscerai da questi rametti che porto/ sul cuore, dagli orecchini color oceano e / dalle alghe arrotolate alla gonna che indosso”.

Ma il cuore della poetica umanistica e libertaria del libro si rivela magicamente nelle ultime 4 righe del libro che sono una chiusa linguistica e un’apertura esistenziale:

“Stordisciti di sapienza, capelli sciolti, di polmoni vuoti e verità. Quando non ci sarò più schiarisci la voce e tieni con te il carico prezioso della tenerezza umana”.

La forza dei versi e delle prose poetiche di Rita Pacilio, credo sia tutta nell’attraversare l’inferno della vita e uscirne con un “grido raggrumato”(non a caso titolo di una sua precedente raccolta), un messaggio d’amore e di speranza, ascoltare il dolore del mondo e ricongiungersi con la grazia di un bambino, una forza incombente e incontrollabile come un ciclone che si abbatte sul paesaggio e dopo resta solo una donna o un poeta(ma in lei sono la stessa cosa) a raccogliere la grazia della distruzione e dell’abbandono, ad aspettare tutta la notte il sorgere del sole, con in mano lo straccetto della libertà e nell’altra la mano di qualcuno d’amare.

Stupisce ogni volta la magia della creatività linguistica di Rita che diventa, musicalità del verso, elegia, magia esistenziale, come aleggiasse sopra di lei una nuvola del bene che segue la drammatica diagnosi del nostro presente. Il suo Io lirico diventa sempre un Noi collettivo, è facile e immediato identificarsi e riconoscersi nella solitudine solidale dei suoi versi, accogliere l’amicizia del bene vero che ti testimonia e scrive.

E’ struggente l’importazione di umanità, bene e di bellezza che Rita Pacilio compie nei suoi libri, in volo precario su mondi reali e immaginari, le sue pagine sono una metafora eucaristica della creazione che si fa sangue e carne di un Cristo fatto Rebis(Uomo e donna insieme) vivo contro l’iconoclastia distruttiva del mondo che vuole e può essere salvato solo dall’amore e dalla tenerezza.

Ma quello che personalmente mi fa amare i versi di Rita è la visionarietà solidale e l’entropia estetica latente che volteggia nell’aria, la musicalità libera pronta a farsi elegia e canto che albeggia tra le parole. Non c’è misurazione di campo o d’energia che possa rendere questo bene che lei fa a se stessa e alla poesia. Rita sa che lo sguardo poetico ha occhi per vedere e sentire oltre il battito cardiaco dell’umanità dolente, e che l’energia delle parole oltrepassa il dilagare dei silenzi o del caos spessi troppo colpevoli dei media, Rita sa che

“I versi sono battiti di silenzio/Che ascoltano il cuore del mondo”.

Milano, 28/08/2017.

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 Rita Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, collaboratrice editoriale, sociologa, mediatrice familiare, si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Curatrice di lavori antologici, editing, lettura/valutazione testi poetici e brevi saggi, dirige per La Vita Felice la sezione ‘Opera prima’. Sue recenti pubblicazioni di poesia: Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice 2012) traduzione in francese Les imparfaits sont des gens bizarres, (L’Harmattan, 2016 Traduction en français par Giovanni Dotoli et Françoise Lenoir) e prossima la traduzione in arabo, Quel grido raggrumato (La Vita Felice 2014), Il suono per obbedienza – poesie sul jazz (Marco Saya Edizioni 2015), Prima di andare (La Vita Felice, 2016). Per la narrativa: Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria 2011). La principessa con i baffi (Scuderi Edizioni 2015) è la sua fiaba per bambini. È stata tradotta in greco, in romeno, in francese, in inglese, in napoletano.