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Luis Gomez De Teran

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Luis Gomez de Teran (aka Gomez) è nato a Caracas (Venezuela) nel 1980. Ha vissuto tra Londra,
Berlino e Roma, dove ora risiede e città in cui coltiva la sua vocazione artistica manifestata inizialmente attraverso il linguaggio dei graffiti e culminata, negli ultimi anni, nella pittura figurativa.
Ho avuto l’onore di conoscere l’Artista a Matera, in occasione della sua mostra al Museo della scultura MUSMA nel 2019 (Anche quando l’Alba non c’era”. Il MUSMA è coordinato da Synchronos, che ha avvertito la profonda sensibilità artistica di Gomez, e l’ha lasciato interpretare sei sculture, che narrano di figure sacre, profane, simboli e sfumature immateriali sprigionate dalla materia stessa, scaturite da cemento e plexiglass. Mi colpì molto la sua modestia e poetica del buio e del silenzio e ancor più il suo bisogno di confronto e socialità estetica e umana. Il suo dire aveva qualcosa di sacro e di preghiera laica insieme.

Scriveva Simona Spinella, presidente di Synchronos, nel catalogo edito da Magonza:
“I temi utilizzati richiamano la letteratura classica e mitologica con una poetica di strada che indaga il reale e i conflitti dell’animo umano. Dipinti urbani accompagnati da versi poetici scritti a margine delle pareti. Spesso nel processo di realizzazione delle sue opere d’arte in strada, sceglie modelli sul posto dove viene chiamato a intervenire, scattando loro delle foto che poi utilizza come riferimento per il dipinto.
L’oscurità sembra dominare e avvolgere le opere di Gomez: volti e corpi nudi, che portano addosso i segni dell’esistenza. I conflitti dei suoi personaggi “lottatori” si manifestano sulle tele offrendosi allo sguardo dello spettatore. ..sperimentare l’assenza di luce come possibilità di conoscenza, ci accompagna nel suo rifugio, il buio incerto e mutevole, invitandoci a perderci al suo interno fino a sparire, per poi rinascere.”

La sua è una pittura simbolica, barocca, fortemente suggestionata da Caravaggio soprattutto per l’uso di luci e ombre e per le tematiche, sempre in bilico fra il bene e il male, la solitudine, l’amore, il dolore, la sconfitta, l’addio, la morte. Pur non avendo una formazione accademica, la sua scuola sono stati i muri e le esperienze di grandi e piccole città del mondo (Roma, Londra, Barcellona, Berlino, Mumbai).
Come luogo di espressione privilegiato, Gomez ha scelto la periferia, luogo che gli dà l’energia creativa per l’azione pittorica. La strada è parte integrante della poetica dell’artista ed è la dimora delle sue creature. Oltre l’uso del pennello e vernici su muro, Gomez usa anche materiali applicati come pietre, specchi, vetro, ferro e plexiglas.
Nel bellissimo lavoro, ‘Corpus Homini’ a Fontanavecchia, Campobasso, 2019, Gomez esplora il
tema della pietà, della crocifissione e della compassione, cogliendo il dualismo dell’evento: a metà tra purezza e tentazione, tra luce della fede ed ombra del mistero, tra bene e male ed ha deciso di creare ‘Corpus Homini’ che riprende il calvario e la passione di Cristo, in quanto uomo, e la resurrezione, in quanto figlio di Dio.
Un elemento particolare della sua arte è l’interazione tra parola e immagine. Spesso le sue opere
sono “affiancate” da frasi di poeti e scrittori ispirati dalla sua opera, come nel caso del murale del
Trullo, dove il ritratto di Mario d’Amico si integra con le parole del Poeta del Trullo. (Mario
D’Amico è uno dei poeti del trullo, colui che anni fa ha dato vita a questo movimento di rigenerazione urbana attraverso la poesia e l’attenzione agli spazi che si abitano. Proprio per unire invece che dividere, prendersi cura delle cose di ogni giorno invece di vivere distratti e cedere al grigio e alle difficoltà. Anche questo murale, opera di Gomez, è sicuramente molto intenso. I versi del Poeta del Nulla sono spettacolari; anche se si leggono con difficoltà…. Iniziano così:

Pioveva rabbia e lei danzava
nera sul cemento
Correva il film del mio lasciare
oltre il campo a veder la luce
e lei mi tirava fisso al mondo
…”

E non a caso Gomez ha voluto accompagnare uno dei suoi capolavori: “Bitume - Fabbrica Ancione, Ragusa - Settembre 2020”, (un grande Cristo in croce su un Silos arrugginito, che ha in sé una forza Rinascimentale, tra Bramante e Caravaggio, con una Pietas e Humanitas sconvolgente e un pregio stilistico di grande impatto che si rivela nel panneggio del velo che copre il sesso e nell’incarnato del corpo di Cristo di grande pregio), con questo sonetto e note bellissime scritte sulla sua pagina facebook che vi invitiamo a leggere.

CORPUS HOMINI
Il mio nome era Gnaziu e questo qui è il mio addio
fui meglio di Picasso con il mescolatore
nessuno mi ringrazia o conosce il volto mio
ma sotto ogni tuo passo c’è un po’ del mio sudore.
Vivevo nell’impianto
per non voler sparare
e trasformai il cemento
in acqua, in vino e pane.
E oggi che riscopri un luogo più prezioso
le senti le campane? inizia la funzione.
Guarda la torre rossa che si trasforma in croce.
Io oggi ti saluto, adesso mi riposo
per me nel terzo giorno non c’è resurrezione.
Son io oggi a pregarti, ricorda la mia voce.
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Note: Gnaziu è la versione dialettale sicula del nome Ignazio, apparentemente piuttosto comune
nell’isola. Il mescolatore è il macchinario più importante dell’intero impianto.

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CORPUS HOMINI
Bitume - Fabbrica Ancione, Ragusa - Settembre 2020
Da notare le sue location particolari, Periferie delle città, fabbriche, case e castelli abbandonati, barche dismesse e abbandonate sulle rive del Pò, silos arrugginiti, fondi marini e cime di montagne, etc…luoghi solitari, abbandonati, sconfitti dall’uomo e dalla storia, architetture obsolete o difettose, rovine, a cui le sue opere portano bellezza, dignità e nuova vita. Il contrasto che si crea tra Arte e location degradate è di grande impatto e rivitalizzazione estetica ed emozionale.

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© Opera e foto di Luis Gomez de Teran, “Corpus Homini-Bitume –
Fabbrica Ancione, Ragusa - Settembre 2020.”

Un altro capolavoro estetico - sociale di Gomez è forse quello realizzato al Comune di Marcellina. (Silos dipinti - “Le voci delle pietre”, Marcellina (Roma), 2021), che ricorda, ma supera in empatia,
contestualizzazione storia, empatia poetica e simbolica il lavoro di Guido van Helten - for Silo Art Trail /Juddy Roller - Brim, Victoria (Australia) – 2015.
L’intento era di riqualificare l’edificio ex CIDI, sito di Archeologia Industriale. Il concept dell’opera
nella sua totalità è dell’architetto artista Romolo Belvedere. L’attività è stata possibile grazie alla stretta e proficua collaborazione tra Ente Parco e Comune di Marcellina.
Gomez, costruisce un ponte tra passato e futuro, rende omaggio a Teodora Fornari (l’anziana signora dipinta sulla fornace, che ha lavorato nella cava per tutta la vita), e riporta sui silos le “facce di pietra” riprendendole da un reportage fotografico di Romolo Belvedere realizzato nel 1980 in cui sono ritratti minatori, contadini, pastori e la collettività tutta, uniti al contemporaneo volto di una bambina che trascina memoria e speranza. E leggiamo cosa ha scritto Gomez sul suo lavoro: “Io ho celebrato le rughe sulla pelle, gli sguardi, l’intensa bellezza delle persone che ho dipinto, ho reso allegoria il loro aspetto, ho idealizzato la memoria del passato sperando che rigermogliasse nel presente, ma non conoscevo le loro storie personali.
Volevo diminuire una distanza richiamando gli echi delle loro voci, che un tempo hanno dato respiro a quel gigante di cemento.” (Luis Gomez de Teran).

Le ultime opere di Gomez:
 ‘Corpus Homini’ a Fontanavecchia, Campobasso, 2019.
 I Piedi Inchiodati di Cristo, Matera, Via Trabaci, 2019.
 Preghiera al Tramonto, Muri sicuri, Roma, 2020.
 La nascita dell’orizzonte, Olio su plexiglas, Giugno 2020.
 Corpus Homini, Bitume - Fabbrica Ancione, Ragusa - Settembre 2020.
 Crurifragium, Olio su plexiglas, legno, ferro, acqua, Stigliano, Agosto 2021.

Le ultime opere dell’Artista(infatti mi sembra riduttivo definirlo solo uno Street Artist), sono
caratterizzate da tre grandi novità poetiche e stilistiche: la prima è l’uso frequente dell’olio su plexiglas, (sperimentato a Matera al MUSMA) e la seconda è tematica, dove il tema del dolore e della Crocifissione - passione di Cristo-Uomo Pasoliniano è indagata ripetutamente in particolari strazianti (mani e piedi crocefissi, panneggi, chiodi, ferite, in contesti marginali e periferici), in una sorta di preghiera estetica, come a cercare e invocare redenzione e socialità insieme attraverso l’Arte, con immedesimazione e redenzione, morte e rinascita, in un grande abbraccio – messaggio di bellezza e incanto perduto, di grande amore e e umanità. La terza novità è rappresentata dall’uso sempre più frequente di Installazioni non autorizzate:

o Oblio inerte – Lethargica, Installazione non autorizzata, abbandonata in un castello,
Gennaio, 2022.
o Stalactite, Acrilico e cemento su muro, Fiuggi, 2022.
o ERIDANUS, Installazione non autorizzata sul naufragio, Fiume Po’, Italia., 2022
o Circus, Grotte, Sicilia, 2022.
o Serenissima, Olio su plexiglas, Venezia, Gennaio 2023.
o Invisibile, Pittura non autorizzata su torre abbandonata, Roma, Gennaio,
2023.

Lavori eseguiti su barche, torri, case e manicomi abbandonati, rive di fiumi e laghi, etc.. con olii su
plexiglas o interventi polimaterici che con la loro trasparenza e presenza estetica creano un nuovo rapporto con il paesaggio e richiamano le scorribande da guerriglia estetica di Banksy. Inoltre sembrano delle pittosculture di grande leggerezza, versatilità ed efficacia comunicativa. Come se l’Artista non volesse arrendersi alle sconfitte, alle dismissioni, agli abbandoni, ai terremoti sociali e reagisce con queste sue rigenerazioni estetiche.

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©Luis Gomez de Teran, Matera, 2019, Photo di Donato Di Poce

Biografia

Luis Gomez de Teran (1980) nasce a Caracas (Venezuela) ma si trasferisce sin da piccolo a Roma, città dove vive tuttora e in cui coltiva la sua vocazione artistica manifestata inizialmente attraverso il linguaggio dei graffiti e culminata nella pittura figurativa.
Hanno scritto di lui: Il Messaggero, Corriere della Sera, Repubblica, Il Mattino, Art Tribune, ArtsLife,
Rai News, Ansa, Roma Today, Inside Art.

Principali Location, mostre e progetti realizzati:

 Nox Omnibus Lucet - La notte splende per tutti 2016, prima mostra personale presso la Galleria Varsi a Roma)
 Se mi confondo guidami e sii paziente. -Murales dell’ex Manicomio Santa Maria della Pietà, Roma, 2018.
 Fuori dai Cieli, Fronte Cappella Bonajuto - Catania - Ottobre 2018.
 Flagellus solis, Giardini di Naxos, Ottobre 2018.
 Anche quando l’Alba non c’era, Museo della scultura MUSMA, Matera 2019.
 Ritratto di Mario d’Amico, Murales del Trullo a Roma, 2019.
 ‘Corpus Homini’ a Fontanavecchia, Campobasso, 2019.
 I Piedi Inchiodati di Cristo, Matera, Via Trabaci, 2019.
 Preghiera al Tramonto, Muri sicuri, Roma, 2020.
 La nascita dell’orizzonte, Olio su plexiglas, Giugno 2020.
 Corpus Homini, Bitume - Fabbrica Ancione, Ragusa - Settembre 2020.
 Crurifragium, Olio su plexiglas, legno, ferro, acqua, Stigliano, Agosto 2021.
 Le voci delle Pietre, Marcellina (Roma), 2021.
 Oblio inerte – Lethargica, Installazione non autorizzata, abbandonata in un castello, Gennaio,
2022.
 Stalactite, Acrilico e cemento su muro, Fiuggi, 2022.
 ERIDANUS, Installazione non autorizzata sul naufragio, Fiume Po’, Italia., 2022
 Circus, Grotte, Sicilia, 2022.
 Serenissima, Olio su plexiglas, Venezia, Gennaio 2023.
 Invisibile, Pittura non autorizzata su torre abbandonata, Roma, Gennaio, 2023.

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L' ARTchitettura verso l'arte totale

Il mio interesse crescente verso l’ARTchitettura, è il risultato di molteplici interessi coltivati e cresciuti negli anni, verso la contaminazione delle Arti (Poesia visiva, Poesia Totale, libro d’artista, taccuino d’artista, collage, progettazione, Architettura), verso una teoria della bellezza funzionale e una costruzione/realizzazione dell’Arte Totale dovuta essenzialmente a:

  • La vista di alcune opere dal vivo (i musei Guggenheim di Bilbao e di New York, il Beauburg e la Gare d’Orsay a Parigi, La città della scienza a Valencia).

  • Letture fondamentali per me (G. Fontana: Rivista Territori, B. Zevi: Poetica dell'architettura neoplastica; G.C. Argan: Walter Gropius e la Bauhaus; Le Corbusier: Scritti, Libeskind: La linea del fuoco; R. Piano: La responsabilità dell’Architetto; J. Lotman: Il girotondo delle muse; G. Celant: Architettura + Design), R. Koolhaas, Junkspace,

  • Le mostre visitate negli anni alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia, Milano Design Week e Salone del Mobile.

  • L’Architettura nei dipinti (dalle piazze rinascimentali agli scorci di Giotto, Piero della Francesca e Mantegna, dalle piazze metafisiche di De Chirico, alle periferie industriali di Sironi. Negli anni 70, con i suoi dipinti l’Architetto e pittore Italiano naturalizzato Svizzero, Arduino Cantafora, si fece apprezzare dipingendo architetture, paesaggi, ambienti con uno stile eclettico che riprendeva elementi rinascimentali, fondendoli con i paesaggi metafisici di De Chirico e con gli scenari dell’architettura razionalista.

  • Le foto architettoniche contemporanee di Gabriele Basilico, Naser Alomari, Cheric Kwong.

  • Il rapporto tra Street Art e Architettura (vedi il Murales Art Hotel di Verona interamente dipinto con murales o gli interventi sulle facciate dei palazzi a Napoli di Jorit, i murales dell’Australiano Tyrone “Rone” Wright negli edifici urbani o in quelli abbandonati di Archeologia Industriale, etc…).

  • La poeticizzazione dell’Arte, operata definitivamente da movimenti come Futurismo, Metafisica Surrealismo, Arte povera, Arte Concreta, Poesia Visiva, e Grandi Artisti come K. Schwitters, J. Cornell, A. Calder, B. Munari, M. Chagall, R. Magritte, A. Giacometti, C. Brancusi, A. Artaud, A. Pomodoro, Folon, A. Kiefer, M. Paladino, M. Pistoletto, Salgado, etc…

  • L’impatto rivoluzionario sull’Architettura Contemporanea della visionarietà scultorea e dell’utopia creativa di F.O. Gehry, Zaha Hadid, Jean Nouvel.


ma più d’ogni altra cosa quello che ha acceso in me la scintilla per l’ARTchitettura sono state:

- la vista dal vivo di la casa danzante “Ginger e Fred” di Gehry a Praga

- vista dal vivo della Hundertwasserhaus di Vienna, di Friedensreich Hundertwasser

- la lettura di “Le Poeme de l’angle droit” di Le Corbusier.

- lo shock negativo della vista dal vivo dell’inferno di cristallo (grattacieli di Manhattan).

- la Malarchitettura (dal colonialismo tecnocratico, all’egocentrismo delle Archistar, dall’eccentricità a tutti i costi, al design disfunzionale etc…)

e per motivi diametralmente opposti, per lo stupore di come il funzionalismo architettonico si sposasse alla bellezza estetica, e per la cultura interdisciplinare e la poetica di un genio, e infine per la constatazione di come potesse essere complessa e contraddittoria la compresenza di miliardi di grattacieli di cristalli, acciaio e luci psichedeliche con la solitudine dell’Uomo a New York.

Dal punto 1 del mio manifesto di Artchitettura, di seguito riportato, leggiamo:

“L’Artchitettura non è un’avanguardia o un movimento, ma è una nuova poetica e filosofia, che tende a unire al funzionalismo strutturale dell’opera, la bellezza estetica dell’Arte, e del Design, il riuso creativo, con l’ecosostenibilità.

Rilevante e suggestivo, per questo mio lavoro su l’Artchitettura è stato l’aspetto Artchitettonico delle opere di artisti del ‘900 come Schwitters(Mezbau), Judd(Studio di Architettura), Burri,(il cretto di Gibellina), Oldenburg(L’ago il filo e il nodo), Paladino ( La montagna di sale e La porta d’Europa), Kiefer ( I sette palazzi celesti), Ai Weiwei (Nido d’uccello - studio per lo stadio di Pechino), M. Merz(Igloo), Niki de Saint Phalle(Il Giardino dei Tarocchi), E. Chillida, etc., che testimoniano come la contaminazione e l’eliminazione dei confini tra Arte e Architettura sia stata importante. Infine da notare la poetizzazione e umanizzazione di arte, forme e luoghi, habitat e design, l’empatia sempre più marcata tra uomo-opera-ambiente operata da personalità artistiche come Vedova, Pistoletto e Calder e Grandi Architetti e Designer, come Gehry, Hadid, Sottsass, Munari, Ando, Piano.

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Il Manifesto dell’ARTCHITETTURA

Manifesto

Il Rinascimento, resta l’unico periodo della Storia dell’arte, soprattutto quella italiana, in cui si assiste a un grandissimo eclettismo, e contaminazione tra le arti, per cui un artista che dipinge, esercita allo stesso tempo attività scultorea, architettonica, filosofica, poetica. Dopo il Rinascimento i ruoli rimarranno sempre più distinti, e la figura di architetto raramente si sovrapporrà a quella dell’artista.

Bisognerà aspettare fine ‘800 e il ‘900 , con l’arrivo dell’eclettismo visionario di Gaudì (Architetto, decoratore, scultore e progettista d’interni) e poi l’azione pedagogica del Futurismo, del movimento Bauhaus, e alcuni grandi realizzazioni di Architetti contemporanei visionari (Wright, Le Corbusier, Eero Saarinen, Piano, Gehry, Hadid, Libeskind, Calatrava, Herzog, Piano ed altri) per ritrovare lo spirito neo-rinascimentale e regalare all’Architettura l’Arte, il colore, l’urbanistica, il design, il ritorno alla natura, all’uomo e all’estetica nella progettazione, verso un concetto di bellezza funzionale.

Gli Architetti acquisiranno nuove competenze e nuova coscienza artistica, e contamineranno sempre più ruoli, competenze e funzioni tra Arte, Urbanistica, Design e Architettura spostando il dibattito da visione a corpo dell’Arte, da presenza a spazio relazionale dell’Architettura da progettazione e sviluppo delle città e grattacieli ad Urbanistica Ecosostenibile, da Regionalismo Critico a Pluralismo Moderno e finalmente consapevoli di una nuova etica sociale che rimette al centro l’Uomo.

Da considerare anche l’influenza dell’aspetto architettonico del lavoro poetico-architettonico anarchico-compulsivo di Schwitters (Merzbau), gli ambienti spaziali di Fontana e dell’arte pubblica di artisti come Paladino (“Porta di Lampedusa – Porta d’Europa” o La montagna del sale, installazione di sale con i cavalli a Milano in piazzetta reale a Milano tra Duomo, Palazzo Reale e Museo del ‘900), A. Pomodoro, Mastroianni, Venturelli, Calder, Christo, Oldenburg, Merz, Staccioli, Rafael Lozano - Hemmer. L’Architettura sposa/ingloba l’Arte e viceversa e nasce finalmente l’ARTCHITETTURA. Inoltre di grande rilievo sono i lavori poetici coevi di Emilio Villa, Spatola, G. Fontana, verso un’idea e una costruzione di una poesia e un’Arte Totale.

Le opere simboliche Ginger e Fred a Praga o il Vitra Design Museum di Basilea di Gehry, lo stadio di Pechino a forma di nido d’uccello, progettato per le olimpiadi 2008 da Jacques Herzog e dal socio Pierre de Meuron, e le macro sculture pop di Oldenburg e prendono la scena Architettonica e lo spazio relazionale, oppure gli interventi prima impacchettamenti di statue e strutture Architettoniche (Reichstag di Berlino) di Christo, ne sono esempi eclatanti.

Le Architetture diventano trappole estetiche, organismi viventi polifunzionali, nuovi habitat relazionali-esperienziali, interstizi di reciprocità e prospettive multiple. Si aprono orizzonti di Architettura Totale incantata, esperienze multisensoriali (S. Holl), si fanno strada una nuova etica e socialità, empatie estetiche, schegge di memoria e desiderio che si uniscono a matrici di bellezza e labirinti di voluttà. Trovano nuova luce e splendore la polisemia, la multidimensionalità, la simultaneità, e le strutture architettoniche, diventano coaguli di CreAttività che trasformano il banale in meraviglioso, il funzionale in polifunzionale, una sorta di Oggetti a reazione poetica, come diceva Le Corbusier, opere visionarie, zoomorfe e sperimentali come il Terminal TWA all’aeroporto JFK di New York di Eero Saarinen, o gli edifici colorati di Taut, Le Corbusier, Barragan, Nouvel o il riuso creativo di strutture esistenti come fa la cinese Xu Tiantian che ha recentemente realizzato tre progetti nel segno del riuso creativo o come lo definisce lei un intervento di architettura etico e “agopunturale” e cioè un ponte, una vecchia fabbrica di tofu e una cava dismessa diventata biblioteca, o con opere attente e rispettose della cultura regionale e locale come fa l’Architetto di origine Africana, recente Pritzker Architecture Prize, Francis Kéré. L’Arte, l’Architettura e il Design, si contaminano, si uniscono e si fondono e l’Artchitetto diventa finalmente un Artista Totale, creativo ed etico insieme, nasce l’ARTCHITETTURA.


Il Manifesto dell’Artchitettura

  • 1) “L’Artchitettura non è un’avanguardia o un movimento, ma è una nuova poetica e filosofia, che tende a unire al funzionalismo strutturale dell’opera, la bellezza estetica dell’Arte, e del Design, il riuso creativo, con l’ecosostenibilità.

  • 2) L’Artchitettura libera l’Arte, l’Arte libera l’Uomo.

  • 3) L’Artchitettura mette al centro l’Immaginazione CreAttiva che cerca la realizzazione dell’Uomo attraverso il rapporto olistico con natura, cultura, società.

  • 4) L’Artchitettura mette l’Uomo in uno spazio relazionale, e inserisce nel corpo sociale Architettonico la coscienza dinamica, pluralistica, etica, estetica e sostenibile dell’Universo.

  • 5) L’Artchitettura è una progettazione urbanistica ecosostenibile e CreAttiva, una realizzazione tecnico/estetica democratica, simultanea e partecipata che mette insieme funzionalismo e bellezza, al servizio dell’umanità.

  •  6) L’Artchitettura è un’Arte neoplastica multipla, poetica, simultanea, inclusiva, pluralistica, olistica, etica e socializzante, una bellezza funzionale.

  • 7) L’Artchitettura è una nuova forma di CreAttività che intende unire alla polifunzionalità delle strutture Urbane/Abitative, la bellezza simultanea della natura, dell’Arte e del Design, attraverso le forme organiche, la luce, il colore e ripensare così oltre la forma anche lo spazio e il riuso di strutture esistenti.

  • 8) L’Artchitettura è una forma d’Arte Totale, che contaminandosi con Architettura, Urbanistica, Restauro, progettazione utopistica, etica, ecologia, pensa al benessere umano a 360°.

  • 9) L’Artchitettura è una forma d’Arte Neo-Rinascimentale che mette l’Uomo al centro, facendo dell’interdisciplinarità delle Arti (Architettura, Urbanistica, Scultura, Pittura, Design, Filosofia), strumento di arricchimento culturale e sviluppo sociale.

  • 10) L’Artchitetto non è un’Archistar, né un costruttore di ecomostri urbanistici e/o grattacieli fallici, ma un Artista Responsabile, etico, visionario e socialmente empatico che costruisce ponti culturali ed estetici, strutture sociali/abitative polifunzionali e sostenibili in un connubio di esistenzialismo, razionalismo costruttivo, programmazione urbanistica, Archeologia Industriale, immaginazione estetica, utopia, rispetto per l’ambiente.

    Milano 1/5/2023                                               Donato Di Poce

Stefania Sergi – Libri d’Artista e oltre

Il libro prima ancora d’essere
Un un’idea scolpita nel cuore
Era un nido di sensi e di visioni
Che fluttuavano nell’anima
Donato Di Poce

Prima di parlare del lavoro artistico di Stefania Sergi relativamente ai suoi libri-scultura, ( che in un inconscio refuso dattiloscritto era diventato libro-sutura) è opportuna un accenno alla storia del Libro d’artista, declinato poi in libro-oggetto, prima e libro- scultura poi come nel caso di Stefania.

Se l’americano Ed Ruscha, che creò il pilastro della storia del libro d’artista: Twentysix Gasoline Stations, si contende con George Maciunas il focus Americano su questo media artistico, noi Italiani non possiamo fare a meno di pensare al “Depero futurista” meglio noto col nome di “Libro bullonato” come i Francesi sottolineano l’importanza di un libro come “Jazz” di Henri Matisse che l’artista si è disegnato e costruito da solo.

Certo è che dopo i libri trasgressivi dell’avanguardia russa degli anni Venti, i libri futuristi le esperienze di varie artiste, autrici di pagine verbo-visuali e pagine-oggetto, e dopo il libro tattile di Marcel Duchamp del 1947, sembra che il silenzio sia calato su questo tipo di sperimentazioni delle avanguardie artistiche del ‘900.

E’ soltanto negli anni Sessanta-Settanta che riappare il “libro d’artista”, ma l’attenzione si sposta sempre piu’ verso scatole, teche, contenitori, e a questa vasta tipologia aderiscono gruppi come Fluxus, Pop Art, Arte Povera, Concettuale, Scrittura visuale ecc. Alla parola scritta subentrano l’arte verbo-visuale e la poesia visiva e gli artisti pongono in relazione la parola, l’immagine e l’oggetto. Sostituiscono il testo con materiali vari (carte, cartoni, ferro, legno, vetro, cere ecc.), e nasce così una nuova comunicazione con linguaggi diversi, grafici e materici, opere verbo visive, “Taccuini d’Artista” e “Poetry Box”( vedi www.taccuinidartista.it).

Un atto creativo che produce relazioni, contatti, poesia totale. L’artista interpreta il proprio libro e vi trasferisce pensieri, interrogativi, riflessioni con la forza della materia, con la plasticità della struttura, con la diversità della forma, con la sensibilità del segno, del colore, dei materiali, dando vita ad una poetica che mette in discussione la scrittura a favore di elementi non convenzionali proposti/imposti con l’”alfabeto del visivo” e di particolari caratteristiche in grado di documentare un differente e nuovo comportamento estetico.

Dagli anni Novanta in poi c’è stata una rinascita del libro d’artista, dopo la pausa degli anni Ottanta. Finita quella stagione, il libro è tornato ad essere una presenza costante nel lavoro degli artisti. Si introducono le nuove tecnologie, la possibilità di lavorare a un libro in modo autonomo, in modo assolutamente indipendente rispetto a prima. L’artista è ora in grado di pensarlo, disegnarlo, stamparlo, costruirlo, scolpirlo…

E arriviamo così al lavoro recente di Stefania Sergi, scultrice e performer di origini Sarde ma residente da anni dopo un’esperienza tedesca ad Arezzo. Ecco spiegate forse le origini artistiche e la sua fusione di arcaico, espressionismo, mito rinascimentale, poesia che caratterizza la sua opera scultorea(citiamo su tutte le opere Incantos e Legami Slegami) e in particolare i suoi innovativi e poetici libri-scultura.

A cominciare dai titoli, ( libro inchiodato; libro sfogliato; libro rilegato; libro semi-nato etc…) Stefania svela le sue doti poetiche(è anche autrice di tre libri di poesia) e la sua passione per l’oggetto libro. Non più vissuto o interpretato tipograficamente o concettualmente, ma nelle sue mani il libro diventa il vero oggetto e soggetto artistico, li libro viene pensato, plasmato e scolpito con le sue mani, eppure diventa un medium artistico e concettuale formidabile.
Ogni suo lavoro a tema, diventa riduttivo chiamarlo scultura e diventa riduttivo chiamarlo libro, in quanto è un nucleo semantico e una matrice significante, una scatola magica di messaggi, emozioni, idee. Sono dei libri-sutura tra un mondo ferito e una bellezza inconclusa, un ponte dialettico per legàmi d’amore, un messaggio ecologico per una cultura e un mondo ecosostenibili. Un ritorno all’uomo, ai suoi gesti primari(accarezzare, plasmare, legare), una danza della leggerezza ritrovata nel cuore ma scolpita nella materia, quasi a sottolinearne il desiderio d’eternità il desiderio d’incanto.

Il suo mondo poetico è fatto di legàmi, di fili che annodano e legano visioni e le intricate pagine della vita, a volte inchiodate alle loro responsabilità altre volte consegnate alla leggerezza di un gesto di semina, di annotazioni di legami con il sacro. Infatti spesso nei suoi lavori di legno o di bronzo, compare una patina bianca, quasi fosse una nevicata d’incanto o un respiro d’eternità che si posa sulle pagine e sulle cose…

L’opera dal titolo libro aperto, è una tavola di nuovi alfabeti possibili e aniconici, in cui i segni tracciano relazioni con macchie di colore, sembra più un reperto archeologico del futuro che una pagina Mesopotamica o Egizia, che ricorda esiti simili di un’altra grande protagonista del libro-scultura come Fernanda Fedi.

Un’altra opera che colpisce per le sue caratteristiche mitologiche e ironiche insieme è Libro Facebook, in cui tra le pagine del libro semiaperto si scorge una maschera Nuragica con chiodi fermacapelli dall’atteggiamento ieratico e sornione insieme.

Scolpire il libro (pezzi unici e irripetibili), diventa per Stefania Sergi(come in Fernanda Fedi e Carmela Corsitto, Oki Izumi) esperienza creAttiva totale, progettuale e creativa insieme, operazione concettuale e manipolatoria, estatica e simbolica in cui la materia diventa la trama di nuovi significati, il tramite di nuovi messaggi evocativi, il mantra di un tessuto estetico aptico che va oltre le esperienze tattili dei libri oggetto e di certo manierismo verbo-visivo di troppi epigoni delle avanguardie.

Nasce da queste opere una poetica del libro come casa-natura, come nido esistenziale, di struggente poesia e immediata empatia. Sono libri da non leggere, ma da abitare, da toccare, accarezzare e custodire nel giardino dell’anima. La sua operazione estetica non è di elaborazione-manipolazione di opere preesistenti, che ha occupato gran parte delle esperienze di molti artisti dagli anni 60 agli anni 80, né tantomeno la negazione del paradigma classico della scrittura ( libri illeggibili di Munari o i libri cancellati di Isgrò), ma creAzione poetiche ex-novo, rimandi al suo nodo poetico da sciogliere insieme e catturare forse il sogno poetico della parola di farsi forma, corpo vivo dell’eterno, da inchiodare alle pagine fluttuanti della realtà e ricordarci che il libro oltre a parole e immagini, ha in sé il dono della poesia, e con una poesia dedicata a uno dei suoi libri scolpiti ci congediamo…e vi lasciamo al suo incanto…

SEMI-NATO
per Stefania Sergi

Amo quei momenti in cui
Pensare di non pensare
Significa pensare
Entrare in un’oasi di silenzio
Che porta senso e dissenso.
Amo quei momenti in cui
I gesti intrecciano legami d’amore
E le tracce di un respiro
Portano a leggere un libro Semi- Nato
E la parola abbraccia un segno
E la materia si fa visione.
Amo quei momenti di quasi vuoto
Che diventano una vertigine
In cui la danza della vita
Ci parla ancora di pagine innamorate
Di un respiro incompiuto
E una traccia di futura vita.

Donato Di Poce – Milano 11.02.2015

Gaetano Orazio

I grandi artisti fanno una sola cosa
Restano bambini tutta la vita
Gli altri diventano pittori giocando a fare gli artisti

Gaetano Orazio è l’unico Artista contemporaneo che ha la capacità di proiettarmi in un mondo estetico, filosofico, umano e poetico insieme. Eppure è un maestro dell’uso emozionale del colore…La sua poetica mi rimanda immediatamente a Van Gogh e Eraclito che avevano capito prima di tutti che l’uomo è il risultato del suo vissuto, delle sue esperienze e alle letture e assimilazioni teoriche e poetiche del trascendentalismo di Emerson e Turow, attualizzati però in una personalissima chiave di lettura esistenziale e poetica.

E nel caso di Gaetano ovviamente non s’ intende solo la sua vita quotidiana di uomo, poeta, operaio e artista insieme, ma quella emozionale ed estetica. Orazio è un uomo che pensa e fa pensare e lo fa in modo tellurico e trascendentale insieme. Prima di ogni cosa di lui viene da dire “Che bella persona” e si è circondato di una bellissima famiglia e bellissimi amici e vive in un bellissimo Atelier ricavato da un vecchio capannone industriale della Brianza, che è diventato il suo rifugio CreAttivo e relazionale con sé e il mondo e ne consiglio vivamente una visita. Gli Atelier degli artisti ci dicono e ci fanno scoprire molto dell’Artista, dei suoi segreti e delle sue memorie, delle sedimentazioni e dei ritorni, della tecnica e modus operandi. Anzi oso affermare che è più importante visitare(vivere) un Atelier che una mostra o un catalogo dell’Artista. Personalmente ho sempre capito e amato un artista solo dopo aver visto e spesso fotografato il suo Atelier.

Gaetano Orazio è un artista libero, grande e complesso che sfugge alle facili etichette e ai tentativi dell’industria artistica di classificarlo, catalogarlo, omologarlo. Tra i pochi contemporanei a saper utilizzare magistralmente vari registri stilistici e padroneggiare tecniche e materie tra le più innovative e sperimentali, di saper essere classico e contemporaneo insieme, di saper armonizzare figura e astrazione.

Gaetano pur avendo fatto numerose e prestigiose mostre tematiche e Antologiche, è cantore di un mondo contadino, operaio, estetico e lirico e pur avendo collezionisti consolidati come Gianpaolo Cagnin, è e resta un anacoreta estetico come ha ben compreso uno dei suoi massimi estimatori come il critico Philippe Daverio che ha curato per lui tre mostre personali.

Infatti a un primo sguardo d’insieme dei suoi lavori, anzi direi del suo sonnambulismo creativo, cogliamo incantesimi, presenze osmotiche Magrittiane che pervadono il suo surrealismo visionario, uno sperimentalismo ossessivo quasi ipnotico, una comunicazione iconica e aniconica quasi catartica, un’immersione nel mondo naturale e poetico di rara purezza.

Tutto nel solco incessante, contaminante, della poesia di cui Gaetano è interprete originale e profondo non solo in varie raccolte pubblicate, ma anche con amicizie e frequentazioni/confronti costanti con altri poeti, (ricordiamo Conte, De Luca, Cucchi e Magris), con il suo atteggiamento esistenziale di vera osmosi poetica con la vita, che riversa poi nelle sue tele che risultano vere presenze di vissuto esistenziale ed estetico, voragini di poesia in cui perdersi e ritrovarsi, ectoplasmi di senso e dissenso.

L’atteggiamento verso la materia e i colori è addirittura religioso, liturgico, alchimistico, la materia e il colore diventano nelle sue mani strumenti e medium di bellezza, emozione materica( ridando vita a porte, finestre, pallets industriali, tronchi d’albero, manichini etc…), in una sorta di cannibalismo estetico che tutto divora e tutto trasforma, ridando vita all’invisibile, in una vera osmosi emozionale e materica, oserei dire che ogni quadro di Orazio è insieme un esercizio di libertà e una vera lezione di empatia cosmica, indizio di una poetica esperienziale e amniotica, riuscendo tra i pochi ad essere lirico e irriverente insieme.

Ulteriore testimonianza di questo rapporto intenso con la poesia sono anche le numerose edizioni fatte in collaborazione con vari poeti per le edizioni Pulcinoelefante, caratterizzate proprio dall’insieme di un testo poetico e un’opera d’arte, lavori in cui Gaetano non si è mai risparmiato o giocato al ribasso, anzi la piccola dimensione dei lavori ha scatenato la sua CreAttività, realizzando ogni volta dei piccoli capolavori originali.

E questo discorso ci introduce ad un altro elemento sempre presente nei suoi lavori: l’Acqua e il suo mondo animale e paesaggistico…salamandre, pettirossi, pesci e rocce, foglie, tronchi, torrenti, boschi( nella sua declinazione Brianzola) che l’artista ha eletto a suo paradigma espressivo e immagine esemplare. ( Si vedano ad esempio gli straordinari cicli pittorici di “Martirio di Gioia” e “Come la neve sui pomodori ).

Già i titoli di queste mostre rivelano molto del suo modo di essere e intendere l’arte e cioè ossimorica e naturale, in cui cerca la conciliazione degli opposti e canta la semplicità dell’uomo, della sua solitudine cosmica e allo stesso tempo il suo legame con il territorio e la natura( e qui ricorda l’atteggiamento poetico-esistenziale di Withman delle foglie d’erba). “Quanta acqua c’è in una lacrima/e quanta memoria su queste dita bagnate”…sono versi di Gaetano Orazio del 2010.

Una segnalazione tra le righe ai cultori dell’arte di Gaetano Orazio, è di non farsi sfuggire i titoli delle sue opere, non solo chiarificatori dell’opera stessa, ma spesso dei versi nascosti o camuffati da titoli di opere ( Esempio: “Altitudine”; “E navighi in ciò che vedi”; “L’Angelo che ti segue”; “Fiato alle mani”; “Con le parole non riesco” etc…).

L’Uomo, La figura umana è un’altra delle presenze costanti nel suo lavoro. Figure oniriche e siderali, ombrose e acquatiche, catramate e trasparenti, in cerca di un senso, una luce, un perché…una presenza assenza in dialogo con la solitudine del mondo e la sua solitudine interiore, quasi a colmare un abisso di sguardi, presenze, carezze, riconoscimento e ricerca di contatto con l’altro, una testimonianza di una stessa condizione e passaggio sulla terra.

Figure solitarie o accompagnate dalle proprie ombre e fantasmi, figure che nuotano ma che più spesso camminano o fluttuano nell’aria con una forza struggente e malinconica che prima di Orazio solo Giacometti era riuscito ad esprimere. Nessuno come lui ha saputo esprimere la forza dell’Uomo come migrante e passeggero della terra. ( Si veda uno degli ultimi lavori intitolato Commemorazione…l’uomo fluttuante nell’azzurro che si interroga e si specchia nell’acqua senza narcisismo solo cercare sé e l’altro).

Ho cercato di sintetizzare questa poetica con questa poesia:

L’UOMO COSMICO a Gaetano Orazio

A grandi bracciate nel buio
Sono salito su un carro stellare”
Dicevi sereno nuotando tra le stelle.
Mentre il tuo respiro di poeta
Restituiva microcosmi, ectoplasmi cosmici
E la tua mano sapiente d’artista
Creava l’uomo cosmico.

L’Alieno che tutti vorremmo incontrare/essere
Portatore di luce e d’azzurro
Camminatore solitario di sentieri sconosciuti
Che cerca e trova l’anima di un padre.

Ma forse eri solo il riflesso d’una stella
L’esplosione di un Big-Bang d’amore
Un Ectoplasma colorato del buco nero della Storia
O solo lo specchio d’una solitudine cosmica
Che va incontro al nostro destino
Di uomini fragili, cosmici, stellari e soli.

Ricordiamo che l’Azzurro è il colore principe di Orazio, è il colore dell’acqua e del cielo che domina le sue tele, dei pesci e delle cicorie che insieme al nero catrame caratterizza i lavori del nostro Artista sempre iconoclasta ( si vedano le sue struggenti Crocifissioni), controcorrente(pecora nera), impegnato civilmente(tutta la serie Homo Faber e le bombe viste iconicamente e simbolicamente come minaccia potenziale e allo stesso tempo anfora formale ). Non potevo esprimere diversamente il mio amore per l’azzurro che con questa poesia dedicata a Gaetano:

AZZURRO a Gaetano Orazio

Azzurro fermo nell’azzurro
Mentre intorno schiumano
Gli ultimi bagliori dell’Autunno
Ma in sé ogni uomo
E’ un tremore d’acqua
Che si specchia nell’acqua
Sognando d’essere puro e vivo tra cielo e terra
Un briciolo di grazia
Sopravvissuto al vortice della vita
Un’onda di visioni e di senso
Con l’anima bagnata d’azzurro.

Altro elemento importante nei quadri di Orazio è la scrittura che qua e là compare ad accompagnare delle figure, a sottolineare che a volte l’immagine non basta, ( come nel bellissimo quadro del 2007 Io dipingo…in cui i versi finali dipinti sul quadro dicono:” solo così la ragione/del mio respiro/non rimane solo polvere”), altre volte impressa come traccia progettuale del quadro, altre ancora come aforisma poetico di accompagnamento e didascalia dell’opera. E non è un caso che Gaetano Orazio è presente con due suoi splendidi lavori nel progetto (www.taccuinidartista.it e www.poetrybox.it).

Eppure Gaetano è nonostante tutta la sua sensibilità umana e poetica, il suo pensiero profondo, un grandissimo Homo Faber (titolo anche di una sua mostra), in quanto l’elemento artigianale del lavoro, costruire e del togliere, dell’aggiungere e del limare, del progettare e realizzare, del saldare e dell’estrarre bellezza da ogni materia Gaetano ce l’ha nel sangue. Il senso del lavoro e della fatica celebrato in molti suoi quadri e conservati scrupolosamente in enormi bobine di carta o di tele arrotolate, quasi a non dimenticare il quotidiano dolore e la quotidiana ricerca di bellezza che lo ha accompagnato per una vita. Sua condanna ma anche la sua e nostra redenzione.

Di quest’esperienza restano innumerevoli opere, disegni e taccuini d’artista. E non è un caso che per suo Atelier (il suo campo di girasoli), abbia scelto un ex capannone industriale dove creare e incontrare i suoi sogni, azzerando ogni distanza tra pubblico e mondo dell’arte, in attesa che un pettirosso entri dalla finestra o che una salamandra venga a fargli visita, e non un cenacolo di intellettuali Bohémiens o uno dei tanti salotti delle conventicole di pittori mediocri, frustati, e ossessionati solo dall’immagine e strategie di marketing.

La Reverie transazionale, che lui chiama semplicemente dormiveglia…aurorale e sonnambolica (il sogno ad occhi aperti e andamento inconscio), è un’altra cifra stilistica e poetica di Gaetano Orazio, che ha un atteggiamento verso l’opera di ascolto e memoria, che unita ad un atteggiamento creativo aptico e infusorio fa delle sue opere delle piattaforme alchemiche sognanti, matrici di gesti e di emozioni, fogli relazionali su cui si depositano i riverberi e le illuminazioni dei segni e dei sogni dell’Artista, tracce di allucinazioni e presenze magiche(l’Angelo; la croce; centauri, salamandre, agnello sacrificale e guardie del corpo).
Non si farebbe giustizia alla sua Arte, se non si facesse accenno alle Installazioni e Performance di Gaetano Orazio.

E Vorrei ricordarne almeno “I Manichini” (Installazione) un chiaro omaggio ai sette savi di Melotti e “Lacrime” emblema delle Crocefissioni, e per le performance “Cera l’acca” svoltasi a Imola e “Scene da un Salone di Bellezza a Villa Greppi” a Monticello Brianza, in cui l’artista opera l’azzeramento da un lato dei rituali e luoghi dell’Arte, a dall’altra del pubblico inteso come spettatore, innestando un’idea di co-generatore e attore attivo dell’atto CreAttivo. Non male per un Artista che ha dichiarato: ”Sogno spesso di accompagnare Van Gogh a dipingere e io sono quello che porta i colori”.

Donato Di Poce – Milano, Dicembre, 2015

Flaminia Cruciani - Lapidarium

“Detesto l’ignoranza nei modi più di ogni altra cosa.
È una frattura con il proprio nucleo mitico. La vita si definisce in gesti estetici.” (Flaminia Cruciani)

Questo aforisma di Flaminia Cruciani definisce bene il senso del suo operare poetico, esistenziale ed estetico. Del resto la sua professione di Archeologa (ha partecipato tra gli altri alle campagne di scavo di Ebla in Siria) e una vita vissuta in mezzo all’arte e alla poesia, non poteva che determinare in lei questo interesse di scavo linguistico delle parole. Come non è un caso che abbia scelto di vivere la poesia nell’azione, anzi in Azioni poetiche insieme al Capitano Tomaso Kemeny e il direttivo del Grand Tour Poetico (Berra, Mastropasqua, Cruciani).

Flaminia confessa in uno dei suoi aforismi “Amo il pensiero funambolico e spericolato” e questo ci porta dritto – dritto alla scelta della forma espressiva dell’aforisma, deragliando poeticamente dalla poesia, culla da dove proviene e fiume carsico dove tutto scorre, si nasconde e riemerge.
Scaglia parole come pietre Flaminia ma senza nascondere la mano anzi come sassi sull’acqua che danzano prima di depositarsi nel fondo della riflessione filosofica estetica o sociologica.

Conobbi Flaminia qualche anno fa alla presentazione a Milano del suo libro “Sorso di notte potabile “(Lietocolle), e ne fui subito conquistato per il suo incedere voluttuoso e potente, una prosa poetica generativa e affascinante, un piccolo delirio linguistico che beveva la notte potabile della creattività.

Mi colpì anche la dedica che scrisse sulla copia del libro che mi regalò dopo una serata a passata a parlare di poesia… “A Donato auguro una notte in sorsi potabili”. Ecco quella potabilità della notte e della poesia mi accompagna da allora e la ritrovo in questi aforismi disincantati ma tellurici, lapidari eppure intimi e socializzanti.

Flaminia in questo Lapidarium, non si scaglia contro persone specifiche e riconoscibili, ma si scaglia contro ignoranza e pregiudizi, nemici dell’arte e della cultura, poetanti e mestieranti crudeli e stitici. Più che un libro contro è un libro a favore di qualcosa, in difesa della bellezza distrutta o ignorata, di valori vilipesi e sfregiati. Vediamo alcuni esempi:

E’ più facile cullare un drago che incontrare persone gentili

La bellezza sarà la nostra stella polare

Oggi esercizi d’invisibilità

Dovessi definire in una formula l’operare aforistico di Flaminia direi che è l’aforisma del mito e della bellezza che afferma con vigore e fierezza la bellezza dell’anarchia e l’anarchia della bellezza, infatti in un aforisma scrive:

Sia lodata la filigrana del cuore anarchico

Questo volume è un libero intarsio di reperti linguistici aguzzi e frammentati eppure mitologici, meditazioni filosofiche che traggono ispirazione dai viaggi, dalle letture, dalle riflessioni, dall’esperienza della vita quotidiana, dalle visioni oniriche che ci riscattano dalla patologia del silenzio e dal caos linguistico/comunicazionale in atto.

Lapidarium è un esercizio di ecologia mentale per difendersi dal consumismo delle parole, per ridare senso ai segni e all’azione poetico-estetica-linguistica, ma anche un diario antropologico del presente còlto spesso nell’atto del disfacimento e della distruzione e e che si scaglia con fermezza lucidità e ironia contro dogmi e tabù culturali del nostro tempo.

Riporto di seguito alcuni aforismi scelti dal libro:

La realtà è un’allucinazione condivisa”

Contro la stupidità non ci sono né armi né farmaci”

Brucio sospesa fra terra e cielo, la mia radice è la cenere”

È più facile cullare un drago che incontrare persone gentili”

Detesto l’ignoranza nei modi più di ogni altra cosa”

È una frattura con il proprio nucleo mitico. La vita si definisce in gesti estetici”

La realtà è un irrequieto susseguirsi di avvenimenti intermittenti”

La mia dote è l’infermità che applaude un grillo in una botte vuota”

Sai, da allora con i piedi fatati dall’eternità io inciampo nella vita”

Dogmi e tabù sono forme di stitichezza culturale”


 

Nota Bio-Bibliografica

Flaminia Cruciani. Romana, si ė laureata in Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico, presso Sapienza Università di Roma sotto la guida del Prof. Matthiae. Ha poi conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Archeologia Orientale nella stessa università per poi perfezionare i suoi studi con un Master di II livello in “Architettura per l’Archeologia – Archeologia per l’Architettura” per la valorizzazione del patrimonio culturale.

Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo in Siria, in qualità di membro della “Missione archeologica italiana a Ebla”. Ha poi conseguito una seconda laurea triennale in “Storia dell’arte” ed è attualmente iscritta per il conseguimento della magistrale. Presso la stessa università tiene annualmente corsi sul rapporto tra l’iconografia e il testo nella tradizione mesopotamica.

Si è specializzata inoltre in Discipline Analogiche, attraverso lo studio dell’Ipnosi Dinamica, della Comunicazione Analogica non Verbale e della Filosofia Analogica, conseguendo il titolo di Analogista, una professione di aiuto per la lettura e la decodifica delle dinamiche emozionali profonde. Da diversi anni è operatore certificato di Psych-K. Ha inoltre inventato il “Noli me tangere®”, uno strumento fondato sul potere evocativo delle immagini in grado di favorire il processo di individuazione della persona.

Nel 2008 ha pubblicato “Sorso di Notte Potabile”, ed. LietoColle. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie, fra cui la recente 42 voci per la pace, ed. Nomos. È stata selezionata fra i giovani poeti italiani contemporanei per il Bombardeo de Poemas sobre Milán, opera del collettivo cileno Casagrande. Esponente del movimento mitomodernista, è tra i fondatori e gli ideatori del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia.

Betty Zola - Le sacre inquietudini

PAGINE D’ACQUA

A Betty Zola

Pagine d’acqua ghiacciate nell’anima
Si alzano a strappi invisibili d’amore
Come scaglie di luce nel buio
Riverberano nei tuoi occhi
E la notte cullò il vento
In attesa del tuo respiro.

Ma tra le crepe della vita
Una lacrima arrugginita
Stilla sui capezzoli della notte
Fragranze di vite vissute a sognare
Tra carezze oleose e respiri di carta d’oltremare
A scrivere, pensare e accartocciare verità ferite
E foglie di ruggine innamorate di futuro.

Poi d’incanto il vento portò
La grazia della leggerezza
Di orizzonti ignoti dentro il nero
Di un’anima ferita, appesa alla gabbia dorata
Di libertà e visioni negate
A un’anima che cercava la grazia di suture
Tra garze incatramate d’incanto
E reliquie postume di vite bruciate
Della vita non restano che sudari
Di bellezza svelata al dolore.

 

Questa mostra a Monza di Betty Zola, artista Biellese contemporanea tra le più interessanti e intense, restituisce in pieno il senso del suo operare artistico che da qualche anno si è andato sempre più delineando ed affermando almeno per quel che vedo in due o tre direzioni poetiche di grande interesse ed intensità.

Penso al senso di leggerezza che emanano i suoi lavori specie le sculture in cui riprende la lezione di Melotti e Calder, alle sperimentazioni e stratificazioni con e sulla materia(carta, ruggine, panneggi) che dimostrano quanto abbia assorbito la lezione di Anselm Kiefer, al senso del sacro delle sue composizioni, installazioni, scenografie e taccuini d’artista (sudari di bellezza), che ci testimoniano il suo senso per la sacralità del gesto artistico pregno di tutte le sue valenze simboliche, cromatiche, catartiche e creAttive che Louise Nevelson ha rivelato a tutti soprattutto con le sue installazioni e i suoi monocromi neri(colore non colore molto amato da Betty Zola).

Insomma la nostra artista ha la capacità di proiettarci nel suo mondo incantato ma pieno di inquietudini sacre che liberano, che abbracciano le nostre inquietudini e le cullano in un universo essenziale, puro e delicato e che il suo medium sia una scenografia, un libro d’artista pulcino elefante o un taccuino d’artista, nulla toglie alla sua forza espressiva libera e innovatrice.

Betty Zola, donna colta e sensibile, infaticabile frequentatrice di mostre d’arte contemporanea, musei e libri, è aperta alla contaminazione dei linguaggi culturali e alla sperimentazione tipica delle migliori avanguardie del ‘900 e non si sottrae al confronto stilistico-poetico con i suoi colleghi, e prova ne è la sua partecipazione a numerose collettive in giro per l’Italia e il rapporto costruttivo e privilegiato con poeti e personaggi della cultura contemporanea come Alberto Casiraghi, Nicola Frangione, Adriano Pasquali.

Questi lavori affascinano per la loro poesia e purezza, il loro incanto per la vita e la bellezza, che fa della nostra artista, una piccola Alice nel paese delle meraviglie, incantata di fronte alle meraviglie dell’arte e della natura di cui raccoglie e ci mostra persino le ceneri, i sudari e le ruggini che restituiscono un senso di grande intimità e umanità insieme.
Questo suo pensare e fare della marginalità materica, elevata a sacro strumento di comunicazione artistica, l’effimero che diventa assoluto, il banale quotidiano che diventa sacro, le tracce del valore d’uso che diventano matrici di nuovi percorsi, ce la fa amare particolarmente in opere come Rimorso postumo, Teatrino delle illusioni, Va tutto bene, Autunno, I Had a dream, Rusty Soul.

Una segnalazione a parte meritano i lavori dedicati all’Anima ( Anima, Anima arredata, Anima II, Anima III, Anime perdute, Inferno nell’Anima, L’Anima mia è un sepolcro, Imprisoned), in cui soggetto e titoli sono espliciti e illuminanti di un percorso interiore che esplode in una carezza dei sensi, un atto d’amore e di devozione veramente sacrale che svelano le sue inquietudini come preghiere annodate al tempo con fili di ferro, chiodi e ruggine e panneggi come sudari stesi a nascondere dolore e suturare ferite esistenziali, storiche e poetiche.

Le Scatole (Magic Box)di Betty Zola sono un altro dei medium artistici privilegiati che l’artista utilizza, e tratta come reliquie postmoderne, vediamo infatti (Tabernacle du Calvar, Anime perdute, Autoritratto, Danseuse Etole, Close to me, Slice of life, Waking dreams,…)spesso in cartone ma anche in legno, contengono insieme ad olii esausti, quasi metafora dell’anima sporcata dalla vite inconcluse, raccoglie la lezione in parte ai teatrini-presepi di G. Fioroni, in parte i teatrini materici di F. Melotti, e i parte le scatole di J. Cornell, altri tre maestri della leggerezza, ma hanno una forza e un’energia propria, sono depositi esistenziali e sognanti allo stesso tempo, leggeri e materici, simbolici e sacri. Si vedano ad esempio l’opera Teatrino delle illusioni e Slice of life).

Nell’ Arte di Betty Zola, c’è qualcosa di sacro, e tutte le sue opere sono un sudario materico che trasuda grazia…le sue scatole sono alcove e nidi metafisici e surreali, dove i suoi reperti ( croci, catene, punti metallici, chiodi, carte, catrame, stoffe, garze, cenere etc…) creano una danza cosmica, una teca di reliquie dell’effimero, e dell’inqietudine in cerca del loro riscatto, della loro libertà ed utopia.

Le sue opere sono modernissime e comunicano spesso un’assenza, un vuoto incolmabile, eppure nella sua dissoluzione, la materia diventa evento e simulacro dell’arte, un’antiestetica fondativa e rigenerante, un’anti mimesis fondante di una nuova estetica della creAzione.

Entrare dentro le sue piccole trasgressioni estetiche, ci fa entrare dentro un mondo nuovo, un microcosmo pieno di grazia ed empatia con le cose, dove le impronte del vissuto diventano stigmate dell’essere, lacrime scolpite nella polvere e nella cenere e dove il dolore e la morte sono solo un transito dell’inquietudine che cerca e trova la sua redenzione nel bello, nel vero, nel nuovo.

Nelle sue opere si avverte pienamente un’intimità che diventa respiro cosmico, l’autoreferenzialità svanisce in una danza estetica dell’inorganico, forma e segno sono piegate alla grazia di un gesto estetico creatore e rinnovatore e il pensiero estetico diventa un pre-linguaggio al servizio della verità e della purezza simbolica, dove tra linguaggio e bellezza transita il sublime, il gesto, la forma, il colore e l’emozione.

Gianmario Lucini - Citazioni e Aforismi

Apprestandomi a curare un’Antologia critica dedicata al caro amico poeta, critico, promotore culturale ed editore scomparso Gianmario Lucini, ho ripercorso e riletto oltre agli interventi critici su di lui e commemorazioni, i suoi libri che come autore accompagnavano come un fiume carsico, la sua attività editoriale e CreAttiva . Ho redatto per mio piacere e utilizzo, questa breve scelta di suoi scritti che testimoniano non solo la sua versatilità, ma il suo sentire civile, estetico e lirico, il suo disincantato realismo ma soprattutto la sua grande umanità. Rileggendo mi accorgo che questi stralci pensieri, poesie ed aforismi, potrebbero essere da stimolo e di aiuto anche a chi non conosce Gianmario Lucini, Poeta e Critico e che ne esce fuori un quadro d’insieme che esprime in sintesi la sua sensibilità, tutta l’umanità e tutto IL DOLORE DEL MONDO, da lui percepito, il Lucini, combattente, lirico, eretico, profetico, utopico. Ma vorrei sottolineare che Gianmario pur in mezzo al dolore del mondo, era prima di tutto un uomo che inseguiva la bellezza e uno sguardo felice, un rinascimento poetico e un nuovo umanesimo, tra i pochi e tra i primi a cogliere la tragedia di un’umanità clandestina e migrante. Con gli amici dell’Associazione Culturale POIEIN abbiamo pensato di dare all’Antologia in preparazione il titolo di “IL DOLORE DEL MONDO”.

“La critica però non è soltanto un’attività dell’intelletto e della ragione, ma è anche una ricerca emotiva, affettiva, in dialogo inconscio fra lettore(o critico) e autore” dal saggio Critica ed empatia, contenuto nel libro: Pensiero poetico e critica integrale dell’arte, CFR, 2013.

“Ad ogni frequentazione, l’opera d’arte risponde con sempre maggior senso. L’Opera d’arte è, infatti inesauribile…” da Ipotesi sulla nascita della poesia, CFR, 2013.

“…Spinse lo sguardo oltre il blu del cielo
Frugando fra gli astri, seppellendovi indiz…”, pag 39, Vilipendio, CFR, 2014.

““Dio inorridito non sa che cosa dire.” pag 77, Vilipendio, CFR, 2014.

“Il poeta è soltanto uno scriba del vero…” pag. 12 Sapienziali,CFR, 2013.

“Tutti i sogni sono stati squarciati
ogni volto si confonde nel vento
e non rimane che un turbinio di parole.”
pag. 12 Sapienziali,CFR, 2013.

“Porto con me soltanto il mio dolore
che non trova parole”
pag. 28 Sapienziali,CFR, 2013.

“Nel tuo silenzio mi sento tradito
dai sogni che ho osato sognare”
pag. 70 Sapienziali,CFR, 2013.

“Essere nel nulla” pag. 102 Sapienziali, CFR, 2013.

“Noi siamo qui a raccontare
come fossimo fuori dal racconto
coi siamo qui a inorridire
senza sapere d’essere l’orrore”
Pag. 60 di Hybris, CFR, 2014

“E’ sottile la bellezza: insinua la sua chioma nelle crepe delle ore. La bellezza è muta e ti sta a guardare, non chiede altro che uno sguardo felice…”
Pag. 12, Krìsis, CFR, 2012.
“Non abbiamo che parole, solcare il tempo e la notte del tempo. Parole che finiranno, che si addosseranno l’una all’altra venendo dal silenzio e tornando al silenzio. Parole che ci sopravvivono, ci comprendono, dentro le loro braccia ci cullano e ci addormentano”
Pag. 13, Krìsis, CFR, 2012.

“La morte non sarà che il più lieve,
il meno crudele dei mali”
Pag. 35, Krìsis, CFR, 2012

“Oggi sono nati altri mondi. Scriveremo
insieme un’altra storia con l’inchiostro
che gorgogliando dorme, sotto la sabbia…”
Pag. 35 Dal libro “A futura memoria”, CFR , Sondrio, 2011.
“…Io sono un Budda di pietre su una rupe,
a contemplare la patetica disfatta
di una grande civiltà che divora
come il serpente,cannibalescamente.”
Pag. 37 Dal libro “A futura memoria”, CFR , Sondrio, 2011.

“Non è il nero il colore della notte
ma l’insieme di tutti i colori…”
Pag. 13 Istruzioni per la notte, Marco Saya Edizioni, Milano,2015.

Ama la notte e sarai sempre amato:
ti brilleranno gli occhi e nella mente
non avrai che silenzio, ogni pensiero
al suo posto; ti renderà la vita
più chiara di quella luce nera
che illumina il lato opposto delle cose.
Lascia che ti ingravidi il sorriso dell’alba
che fa risorgere i vivi,
ascolta il silenzio
della notte che svanisce e ricordalo
lascialo vibrare nelle tue parole
lasciati accendere, lasciati accecare
non ha di meglio la vita
dell’attimo che muore.
Pag. 24 Istruzioni per la notte, Marco Saya Edizioni, Milano,2015.
– …Anima sodale d’una terra sconosciuta-.
Pag. 94 Istruzioni per la notte, Marco Saya Edizioni, Milano,2015.

“Io raccolgo il Tuo Silenzio e riconosco
La Tua Voce fra mille
Nella ruota che sferraglia
Nel parlottio di idiomi sconosciuti
Nel lontano tremolare delle stelle.”
Pag. 103 Istruzioni per la notte, Marco Saya Edizioni, Milano,2015

“…io infatti considero, a differenza degli idealisti, che l’arte sia anche etica e che l’estetica è una categoria che non sta in piedi senza l’etica.”
Lettera di G. Lucini a Ennio Abate.

*L’orrore
Ma il vero orrore non appare ancora:
sonnecchia in agguato,
dentro i tubi catodici.
Chi nascerà senza braccia a supplicare,
chi scaverà il suo pane fra le scorie
dell’uranio impoverito,
chi vedrà nel cielo un’illusione
lacerarsi a brani,
chi maledirà gli amici
e l’arroganza sciocca dei tecnocrati,
chi profeterà la fine dei tempi
per cimiteri senza nome e senza preci
-terra di nessuno
e senza cura d’anime,
terra senza cura e senza canto
d’uccelli a primavera…
*in A futura memoria, CFR, 2011.

Carmela Corsitto - Il brusio del nulla

PAGINE DI NULLA

Per Carmela Corsitto

Hai scrutato orizzonti infiniti

Per diventare alba migrante

Attraversando deserti di parole

E paesaggi ibridi accartocciati dalla solitudine

Per costruire case di silenzi

Ed a coloro che ti vedevano abbracciare alberi

Tu rispondevi con un sorriso lieve.

 

Poi un giorno sei approdata

Alle rive delle parole ferite

E delle dimore interiori

Hai accartocciato pagine bianche

Dentro scrigni di assoluta purezza.

 

Ma solo in pochi sanno vedere

L’acqua cristallina della tua sete

Nascosta in un riflesso del nulla

Mentre doni al mondo

Il segreto delle parole

E pagine e pagine d’inchiostro

Fatto di nulla, quel quasi nulla

Che rende indispensabile la vita.

Donato Di Poce

Milano 09.06.2016

 

Diciamo subito che Carmela Corsitto nonostante abbia avuto immediata e costante attenzione di critica, collezionismo e di pubblico, è (insieme ad artisti come Mauro Rea, Alberto Gallingani, Enza Miglietta, Gaetano Orazio ed altri) una di quelle figure artistiche che dato il curriculum, la sensibilità, qualità, umanità e l’umiltà dimostrata, meriterebbero e spero quanto prima accada, ben altre fortune critiche e riconoscimenti di mercato e non solo nazionale.

In questo breve scritto critico tralasceremo il suo percorso iniziale (che lasciamo agli storici dell’arte, che iniziato  negli anni 80 con la pittura figurativa e il disegno, ha proseguito con la sua ricerca muovendosi nell’area Informale e Concettuale) e ci concentreremo più sulla sua definitiva maturità stilistica, che compie quel salto verso il 1995 nel il tridimensionale, l’installazione polimaterica e il libro d’artista(medium privilegiato che la caratterizza particolarmente per la sua poetica della leggerezza e dell’incanto pieno di poesia e di assoluto).

Con opere in tecnica mista su legno“senza titolo”, del 1995-1996 avviene l’incontro e la scoperta della materiache la nostra artista mette subito in relazione e contaminazione con le tracce del vuoto e il segno informale, con suggestioni aniconiche e simboliche(triangolo bianco) di rara intensità, tracciando segni dal nulla e sul nulla monocromo bianco.

L’artista inizia ad esplorare(vista la sua immensa sensibilità sperimentale e polimaterica e dal suo serbatoio comunicazionale e relazionale con la realtà fatta di foto, video e mail art) quei territori espressivi e matrici iconiche che vanno oltre il quadro o la scultura classica…(si vedano le opere “sedia d’artista, 1995-2005 e “Senza titolo, 1995-2005” una serie di parallelepipedi polimaterici (quasi trappole per foglie, fili spinati, sabbie) con cui gioca, inseguendo il concetto di trasparenza e verità, rivelazione e nascondimento, sulle tracce del nulla e dell’assoluto che la divorano nel fondo dell’anima pura e cristallina qual è).

Carmela Corsitto, si avvale nel suo lavoro principalmente di una grande progettualità e materiali poveri o riciclati dell’industria come il legno, il ferro e il plexiglass(per la sua trasparenza) e della poesia di cui è colma e tracima la sua anima e che diventa fuoco d’energia vitale che irradia nelle sue opere, specie nei libri d’artista degli ultimi anni.

L’altro elemento che vorrei evidenziare della sua poetica e quello della leggerezza, da non confondersi col pressapochismo o la faciloneria di troppi artisti contemporanei, ma quella leggerezza poetica ed estetica, che diventa sinonimo nel suo caso di eleganza, trasparenza, pulizia ed essenzialità, quasi che voglia parlarci dell’aria o della polvere o di quel respiro del nulla che non vuole perdere, non vuole abbandonare al tempo e alla diaspora delle emozioni e dei ricordi. Ecco allora che le sue opere diventano case d’accoglienza, cibori di grazia, pagine di nulla che sfogliamo con il pudore di chi non vuole rompere l’incantesimo che la nostra artista riesce a creare e comunicare.

Il 2006 è l’anno della scoperta e utilizzo costante sino ad oggi del plexiglass, sua matrice privilegiata e il dialogo continuo con la sua anima, una ricognizione senza tregua di quello che è dentro per comunicare a quello che è fuori la sua verità e intimità segreta e sconosciuta.

Con e attraverso questo materiale Carmela realizza prima delle matrici trasparenti e informali ma dai titoli inequivocabili(“Il silenzioso percorso della fede”;plexiglas su legno, cm 60×60 (2006); “Le dimore interiori” plexiglas, legno, sabbia, cm 50×70 (2007); “Confine” plexiglas, legno, sabbia, 21x29x5 (2007); “In-finito” plexiglas, legno, sabbia, cm 50x7050x70 (2007); “Spazi liberi” plexiglas, legno, sabbia, 50×70 (2007); “Con-fusione” plexiglas, legno, sabbia, cm 50×50 (2008), poi dei veri e propri labirinti di grazia e immagini d’infinito, in cui il bianco e il vuoto occupano tutti gli interstizi interiori (“Il contenitore dell’anima” stoffa, polvere di marmo, acrilico, cm 50x56x25 (2008); “Luci d’ombre” plexiglas, neon su forex, cm 31x41x18,5 (2008); “Oltre l’essenza” plexiglas su legno, cm 60×60 (2008); “Misteriose simmetrie” plexiglas, sabbia, acrilico su legno, cm 50×50 (2008); “Sospensione” plexiglas, legno, cm 60×60 (2009); “Immagini d’infinito” plexiglas, legno, sabbia) e poi trame segrete, rivelazioni d’amore e tracce di tempo.

 

Dal 2011 ad oggi inizia l’indagine dentro lo spazio, la luce e il nulla e il pensatoio dell’anima scopre sottili equilibri, giochi nascosti e sconfinamenti, tutti concetti ripresi nei titoli delle sue opere di questo periodo.

 

Un piccolo discorso a parte specifico meritano i suoi “Libri d’Artista” che dal 2005 ad oggi la stanno caratterizzando e valorizzando a livello internazionale sulla scia dei grandi esempi di Anna Boschi, Maria Pia Fanna Roncoroni, Mirella Bentivoglio, Fernanda Fedi, Fausta Dossi, Alba Savoi, Cinzia Farina, Stefania Sergi ed altre artiste(e qui voglio sottolineare la specificità femminile italiana e l’alta qualità di questo intermedia).

Diversi critici hanno sottolineati aspetti importanti dei suoi libri d’artista come Raffaele Quattrone(estetica dell’esistenza e della resistenza), Anna Boschi(Rigore compositivo, equilibrio formale, colore non-colore caratterizzano le raffinate opere di Carmela Corsitto. Rigore che in/consciamente conduce ad un’osservazione silenziosa e sacrale, quasi ci trovassimo di fronte ad icone spirituali del tempo imprigionate e soffocate dal magma profondo delle nostre angosce in attesa da anni di essere “liberate” e conseguentemente “alimentate” di forza ed energia vitale.); Valerio Dehò (La forma del silenzio…pareti di plexiglass: una scatola che contiene frammenti, oggetti, manipolazioni, forme riconoscibili o indefinite. Comunque si tratta di una scatola, intesa come serbatoio, come memoria aperta alla sguardo);Vinny Scorsone (…Quello del Tempo é un concetto fondamentale nella ricerca di quest’artista, ella raccoglie scampoli di presente appena trascorso, li coccola, li pone in urne di plexiglas (quasi come fossero incubatrici) entro le quali poter permettere loro di continuare a vivere senza mai consumarsi definitivamente. Le sue teche (e adesso anche le sfere) racchiudono, in questo modo, porzioni di tempo abbandonato, ma anche parte di noi stessi.).

 

Quello che voglio dire io è che i libri d’artista di Carmela Corsitto sono il libro della vita e una metafora dell’esistenza, che sfoglia i giorni nell’attesa e nell’annotazione di frammenti di vuoto e di bellezza, di pagine di nulla e di dolore, di parole d’essenza e di verità scolpite nel non sensenso e nella non parola di un non-libro che diventa simulacro e oggetto di culto e di preghiera. Un libro in cui custodire e far germogliare semi di cultura e di libertà. I libri d’artista di Carmela Corsitto sono dei taccuini d’artista scolpiti nell’anima che diventano carne e sangue sacrificale, icona e parola del silenzio, consustanziazione del nulla che attraverso la materia e la luce della poesia diventa eterno.

L’artista sembra dirci “attenti alle piccole cose, ai sentimenti nascosti e non visti dai più, che la verità forse della vita e dell’arte arriva all’improvviso e imprevista e ci sorprende come un vento leggero a placare il dolore e la solitudine, la verità forse è”…         “… Nascosta in un riflesso del nulla/Mentre doni al mondo/Il segreto delle parole/E pagine e pagine d’inchiostro/Fatto di nulla, quel quasi nulla/Che rende indispensabile la vita.”

Milano 29/08/2016

 Nota Biografica su Carmela Corsitto

Carmela Corsitto nata a Canicattì (AG), nel 1958, si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Agrigento e frequenta un corso di pittura a Conegliano Veneto. Inizia l’attività artistica negli anni 80 con la pittura figurativa e il disegno, prosegue la sua ricerca muovendosi nell’area Informale e Concettuale per poi approdare ad una definitiva maturità stilistica, compiendo quel salto verso il tridimensionale.. Dagli anni 90 ad oggi sviluppa la sua ricerca con mezzi diversi. spaziando dall’installazione, al libro d’artista, alla fotografia e alla video-installazione con materiali come: sabbia, legno, plexiglass, stoffa. La sua poetica indaga su temi universali come quelli della nascita, della vita e della morte. Evidenzia il concetto spazio/temporale incentrato come ricerca della “verità” e della percezione. L’artista privilegia l’essenzialità compositiva ricca di riferimenti segni e codici plurisignificanti. Attualmente vive tra Canicattì e Bologna.

 

PERSONAL EXHIBITIONS

2015 Il grado zero: bianco e plexiglass, Galleria di Arte Contemporanea Dislocata, a cura di Raffaele Quattrone e WunderKammer, Vignola (MO).

2013 Giornata del Contemporaneo IX Edizione “Harmonia/Erlebnis”, a cura di Dario Orphée, Museo Archeologico e della civiltà contadina “La terra de la Delia” Delia (CL).

2012 “GEOGRAPHY ALICE” un viaggio tra scarpe e libri, progetto di Adolfina de Sefani, a cura di Sara Sist, testo di Lucia Majer, Performance “Live sound and movers” di Mariangela Andrigo e Aldo Aliprandi, con al partecipazione di: Beatrice busetto, Giulia Gabrieli, Serena Gabrieli, Alice Marini,Yuco Hirose, Giulietta Forieri, Marianna Andrigo, Gallery 3D, Mestre Venezia.

2011 Giornata del Contemporaneo Settima Edizione, Libroggetto – Progetto d’artista. Opere di Carmela Corsitto, a cura di Giuseppe Ingaglio, testo di Giuseppe Ingaglio, Loredana Rea, Fondazione Guarino Amella, Canicattì (AG).

2008 Installazioni da parete, testo di Giancarlo Da Lio, a cura di Roberto Sancez, Museo Minimo, Napoli.

2008 “La nuit des Musèes” In/finito, a cura di Domenico Amoroso, testo di Gabriele Perretta, Macc – Museo d’Arte Contemporanea Ospedale delle Donne, Caltagirone (CT).

2006 “ To feed” the un/conscius, intervento poetico di Flavio Ermini, a cura di Anna Boschi, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Castel San PietroTerme (BO).

2005 Luoghi di confine, Sala Polivalente, a cura di Salvatore Pepe, testo di Vinny Scorsone, Museo Comunale di Praia Mare, Praia a Mare (CS).

2005 Contenente e contenuto, un dialogo produttivo, Palazzo Sforza, Performance di Alberto Gallingani, testo di Bruno Sullo, Cotignola (RA).

2004 “Memoria del futuro”, Palazzo Marini, a cura di “La Casa dell’Arte”, testo di Edoardo Mauro, Rosignano Marittimo ( LI ).

2004 ”La Trasformazione sensibile”, Galleria Fluxia, a cura di Cristina M.D. Belloni, Chiavari (GE).

2003 “Senza Titolo”Galleria L’ Idioma, a cura di Stefania Severi, Ascoli Piceno.

2003 Germinale dal ciclo “Migrazioni” Stile Libero, a cura di Tania Giuga, Bologna.

2003 Spazi Inquieti, Modern Art Agency a cura di Antonio Picariello, Casier (TV).

2001 La Forma del silenzio, Fiorile Arte, a cura di Valerio Dehò, Bologna.

2001 “Micro sensori del reale”, Sala collezione d’arte – Opera Pia dei vergognosi, a cura di Fabiola Naldi, Bologna.

2001 Il Quotidiano gelato, libreria “L’Almanacco” Saletta tram –Sito Artecontemporanea a cura di Vincenzo Tomasello, Acireale (CT)

2000 Affabulanti teche del silenzio e del dolore, Di Stefano Arte, a cura di Nicolò D’Alessandro, Enna.

1999 Comunicare l’Attesa, Associazione culturale Ecforici a cura di Vincenzo Tomasello, Siracusa.

1999 Centro “L. Di Sarro” a cura di Patrizia Ferri, Roma.

1999 Comunicare l’Attesa, SpazioVitalein, a cura di Vincenzo Tomasello,Catania.

1998 Acerbità Impatti, Chambre de Commerce Italienne pour la France, a cura di Aldo Gerbino, Parigi, Francia.

1997 Acerbità Impatti, Acerbità Impatti, galerie de la Mostée, a cura di Aldo Gerbino, Huy Belgio.

1997 Il Linguaggio della materia, Galleria Studio 71’, a cura di Francesco Carbone, Palermo.

1996 Il Linguaggio della materia, “Du Sou-Fre au Charbon” dal Vallone alla Vallonia, a cura di Francesco Carbone, Liege, Belgio.

1996 Corsitto o del Neoinformale tra esistenza ed essenza, galleria Qal’At, a cura di Francesco Carbone, Caltanissetta.

1994 Per la luce per la forma per l’ombra, Aula Magna, Liceo Classico ”R. Settimo“ a cura di Franco Spena, Caltanissetta.

1983 Galleria la Vetrinetta a cura di Albano Rossi, Caltanissetta.

Annamaria Ferramosca - I Trittici

Questa raccolta poetica I TRITTICI, di Annamaria Ferramosca, è un’ennesima sorpresa e lezione di libertà poetica e letteraria a cui negli anni la poetessa ci ha abituati. La particolarità del libro è che si compone di quattro trittici su 3 quadri di artisti(due storici come Amedeo Modigliani e Frida Kahlo e gli altri due  -Cristina Bove e Antonio Laglia-, contemporanei).

Ut pictura poesis”: la poesia è come un quadro o come la pittura la poesia, Il celebre motto oraziano è comunemente usato per evidenziare che tra le due arti vi è una stretta relazione e contaminazione. Quella di confrontarsi e dialogare con l’Arte o dei quadri o con gli artisti, è ormai prassi consolidata, senza scomodare Orazio e Michelangelo, diciamo almeno dal ‘900 ad oggi(basti ricordare il rapporto di Rilke con Rodin, l’adorazione di Artaud per Van Gogh, e poi i tanti autori che hanno scritto versi dedicati a pittori come Giuseppe Ungaretti, Rafael Alberti, Emilio Villa, Libero De Libero, Raffaele Carrieri, Pier Paolo Pasolini, Yves Bonnefoy, e i contemporanei Mario Bianco, Piergianni Curti, Ugo Gomiero, Massimo Tosco, Antonella Anedda, Annamaria Farabbi, Fernanda Ferraresso, Anna Antolisei.

Annamaria Ferramosca è una delle più interessanti e consolidate voci poetiche (non solo femminile) Italiane contemporanee, che ha fatto della visione cosmica ed esistenziale aperta alla solidarietà e bellezza del mondo la sua cifra stilistica. E’ una poetessa molto attiva e propositiva sia sul Web che nella vita quotidiana reale. Infatti Collabora con testi e note critiche a varie riviste, anche in rete. Fa parte della redazione del portale Poesia2punto0.com, dove è ideatrice e curatrice della rubrica Poesia Condivisa. Numerosi testi in traduzione inglese sono apparsi sulle riviste:Freeverse, World Literature, Today, Salzburg Poetry Review, Fire.

Ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche: ricordiamo solo tra le ultime: La poesia “Anima Mundi” con la silloge Canti della prossimità (2011, con nota critica di Gianmario Lucini), Ciclica, Edizioni La Vita Felice, collana Le Voci Italiane, 2014, introduzione in seconda di copertina di Manuel Cohen.

Numerosi sono critici e poeti che si sono interessati al suo lavoro, su tutti voglio ricordare l’amico Gianmario Lucini che con Lei aveva un feeling speciale. Ecco cosa scriveva a proposito di “Curve di livello” – G. Lucini «Appassionata negli accenti è questa “salina” raccolta di F. Il mare infatti, con il suo portato mitico, il fascino degli spazi aperti, il richiamo alla riflessione e alla contemplazione segna decisamente la prima parte del libro e gli conferisce un afflato lirico-discorsivo, un ambito di raccoglimento e di silenzio interiore popolato dai miti della grande civiltà mediterranea, dai suoi colori, suoni, odori che scorrono quasi in un poema-fiume per le prime 40 pagine.

 

 Poi l’Io si muove, di orienta, sussulta, si dis-orienta fra il fragore delle cronache, l’irrealtà del reale intasato da odio, violenza, distruzione, frenesia di potere. Infine ritorna come un’onda a depotenziarsi sulla spiaggia del proprio privato-specchio-del-mondo, dell’oggidiano che vuole redimersi dall’insignificanza cercando un senso nel rito del vivere per mezzo della poesia, con tenacia, con metodo, perché altra via di “salvezza” non è possibile. Il vagare e il tornare, l’immobilità e lo scatto, il movimento dell’Io da un “dentro” a un “fuori” e viceversa, costituiscono pertanto un’odissea, una felice dissipazione che si ubriaca di spazi chiari e squillanti dove l’Io cerca e trova le sue corrispondenze, ma anche di ombre fresche e di riposo, dove la materia dell’esistenza viene indagata con l’occhio di una sensibilità attenta. (2006)».

Ma veniamo alla raccolta…Il Libro inizia con Modigliani.

Stiamo parlando del ritratto di Elvire Resting at a Table, di cui si conoscono due versioni una con colletto bianco e mani conserte, e questa senza colletto bianco e mani aperte anzi una sul volto a mio avviso più drammatica dell’altra. Apprensione e disagio esistenziale che Annamaria coglie in pieno quando scrive:

“in magnetico ascolto del mio colore”

dopo questo incipit folgorante e rivelatore di un’intera poetica di Modigliani scrive questi versi:

 “mi piega una stanchezza del mondo

senza fine né origine

e ipnotico tu mi persuadi

che l’uomo è un mondo e a volte

vale interi mondi”.

Sono versi in cui l’introspezione individuale diventa interrogazione cosmica, un viaggio nell’anima delle persone.

Del resto Modigliani disse:”Quando conoscero’ la tua anima…dipingero’ i tuoi occhi.” E’ questo spirito che l’autrice coglie in pieno quando scrive del ritratto Amedeo ModiglianiPortrait de Jeanne Hébuterne (1919)—collezione privata, Parigi in questi termini:

“…mi dispongo sazia montagna azzurra

mi lascio perlustrare

boschi sui fianchi con

chiazze di sangue…”

Un testo lirico e visionario insieme in cui ci travolge la bellissima immagine di una sazia montagna azzurra, che non respinge, anzi accoglie e invita al viaggio senza limiti…

E L’Azzurro, e l’incanto dell’infanzia sono protagonisti nel terzo trittico dedicato a Amedeo Modigliani –Bambina in abito azzurro (1918), Olio su tela, 116 x 73 cm, Pinacothèque de Paris. 

In questi versi la poetessa si identifica totalmente nella bambina:

 

“maman mi sveglia

mi stringe i capelli col nastrino rosso

mi fa indossare l’abito azzurro-calmo

oggi andiamo da Amedeo

ma tu vedi come dentro scalpito

come resisto e stringo le labbra

( lupi dal futuro già s’avventano).

In questo ritratto Modigliani forse dipinge gli occhi più belli e chiari dell’Arte del ‘900 e la poetessa

più avanti dirà:

“non so se intera e vera

sto trasmigrando sulla tela

sento gli occhi staccarsi dal loro cielo”.

Sono versi in cui per un commentatore non resta che zittirsi e lasciar parlare i versi dell’autrice, ogni parola sarebbe di troppo, ogni rigo inchiostrato un silenzio sporcato.

 

Arriviamo ai tre trittici dedicati a Frida Kahlo : Autoritratto con scimmie* (1943) Olio su tela. The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation; Ritratto come Tehuana (o Diego nel mio pensiero) (1943) Autoritratto come Tehuana, (o Diego nei miei pensieri), 1943, olio su masonite, The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and the Vergel Fundacion, Curnavaca; L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl * (1949) (per gentile concessione di: The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation, Cuernavaca © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust, Mexico).

Sembra la parte più intensa e struggente del libro, il cuore di un abisso, come del resto tutta la vita e la pittura di Frida. Leggiamo qualche verso e subito veniamo catturati da un vortice di versi sfolgoranti:

“…non si replica un visoabisso

labbra serrate sul non detto

nell’umore di foresta nel…”

oppure versi che riecheggiano l’amore per Diego…

“…mi faccio stella

di quelle che in amore sfrecciano

come fiorendo esplodono…”

per finire con un abbraccio cosmico :

“infine la quiete nell’abbraccio

la tantoamata cosmica dea

che tuttotutti ama”. 

Il Trittico dedicato a Cristina Bove inizia con   Il volo — CRISTINA BOVE, computer art, una canzone Leopardiana un altro abbraccio fraterno al mondo in cui vorrebbe planare senza essere abbattuta o invisibilmente ignorata:

 

“vorrebbe planare sul mondo

a occhi chiusi lasciarsi fondere

nella consistenza mutevole dei boschi

verdi vitali corpi le parole

in canto segreto a sostenerla”

 

e segue con aggancio — CRISTINA BOVE, computer art, forse la più moderna e surreale delle immagini evocate con la tecnica della computer art in cui campeggia nella sua micro presenza nel paesaggio un’esile figura femminile che come sscrive la poetessa:

” in cammino sul pianeta sfigurato /- quiete dopo l’apocalisse –

 

Il terzo trittico il cancello — CRISTINA BOVE, computer art, che come svela l’autrice nel sottotitolo è un

“rituale di svelamento”. Su ciò che resta nella previta sognata e agognata dall’autrice, a quella vita embrionale dove tutte le possibilità sono ancora possibili e sognabili.

 

L’ultimo trittico della raccolta è dedicato a Antonio Laglia in cui ci parla di : Antonio Laglia— Il camerino di Lindsay Kemp — Olio su tela, 200×145, 2014; Antonio Laglia —Claudia— Pastello su carta, 44×32,1981 risveglio;Antonio Laglia —Il caffè — Olio su tavola,130×130, 1995.

 

Sono tre opere figurative con tecnica ad olio, e pastello, dove i soggetti sembrano dominati dal senso di attesa, solitudine e speranza, che Annamaria Ferramosca coglie in una danza di interrogazioni, di sfolgoranti, domande irrisolte o “irrisposte” come scrive l’autrice, o in un risveglio attonito e sonnambolico che grida la paura del foglio bianco di una bambina orfana d’amore, o di una madre che prende il caffè e l’autrice con lei dice e ci lascia un tremore nel cuore, una placida accoglienza, che ci placa:

 

“… mi sento come lei terra ospitale

in questa luce azzurra sconfinata

che mi attraversa e placa”.

 

Milano. 08.02. 2016

Alberto Gallingani - Oltre l'astrazione

IL MIDOLLO DEL LEONE
Per Alberto Gallingani
Siamo coriandoli lanciati nel vuoto
Attimi colorati di gioie dimenticate
Tra i rigagnoli di un carnevale folle
Ma negli occhi resta leggera
Una cometa di felicità
Una matrice di storia colorata
Accarezzata dal vento
Mentre il tuo cuore accumula
Polimateriche assenze e invisibili distanze
E geometrie utopiche indicano la via futura
E nel tuo cuore ruggisce possente
La grazia di un poeta
Che attraversa la Storia
Col midollo da Leone.

Milano 02.03.2017

 

per Alberto Gallingani

“Il triangolo è l’anima della forma

Che danza nel cuore degli scultori

L’ossimoro stilizzato di un’astrazione realista.”

Per comprendere in pieno il percorso innovativo e rivoluzionario della scultura di Alberto Gallingani, (una di quelle figure d’artista totale che impongono una riscrittura della storia dell’arte contemporanea, se non altro nel campo della scultura), bisogna fare un passo indietro e precisamente sino al 1969 quando Alberto redige ilManifesto della Pittura di Nuova Realtà, in cui si sofferma in particolare sul concetto del rinnovamento dell’arte generata ora da una “ansia di verità”, da una necessità di evidenziare l’importanza dei contenuti e della storia per mezzo dell’arte intesa come nuova condizione morale, in grado di intervenire in maniera sostanziale nella realtà, tutte istanze poi confluite nel 1972 nel “manifesto di morfologia costruttiva..”

Riporto a titolo esplicativo un recente post su un social network di Gallingani.

 “Gallingani- Arte astratta tridimensionale

                                                                                                                          … nessuna polemica, è storia!!!
1972 – L’arte astratta in Italia, in Europa, nel Mondo era quasi tutta bidimensionale, con oggetti di varia natura applicati sulla tela che non cambiavano la natura analitica del suo essere. (esclusi gli artisti che si riconoscevano nella rivista Azimuth che aprono un altro fronte!). Erano anni di grande impegno ma i contenuti non andavano oltre un formalismo legato ai materiali, alle forme di movimento ottico o tecnologico, alla geometria, ai rifugi e riti della gestualità intima fino alle superfici segniche che rimandavano solo a se stesse. Nessuno si accorgeva di ciò che accadeva nel mondo. Morandianamente silenti! A Firenze, nel 1972, c’era chi si faceva carico dell’innovazione del linguaggio astratto rendendolo tridimensionale, drammatizzando il segno e il colore rendendoli oggetti fisici, espressioni politiche del tempo in movimento. L’arte non era più rappresentazione ma accadimento.
P.S. Naturalmente questa è una grande sintesi di ciò che accadeva in quegli anni ma significativa per avvalorare dei fatti fin qui mai discussi o indagati! Vinicio Berti – Alberto Gallingani” .

 

Il superamento della figurazione rappresenta del resto un decisivo elemento di rinnovamento della scultura del sec. xx. Fin dal 1914 V.Tatlin monta frammenti di legno, di vetro e di metallo che non rappresentano altro che forme materiche nello spazio: materiali reali in uno spazio reale; la forma di ogni parte del rilievo deve corrispondere alla sua finalità strutturale, secondo quella che egli stesso definisce una «cultura dei materiali».

La tendenza astratta si afferma in Italia nel corso degli anni ’30, anche se la sua prima apparizione si può scorgere nelle opere e nella pubblicistica dei futuristi. Infatti già Boccioni nel 1910 formula in una lettera per la prima volta l’ipotesi di «arte astratta italiana» e, piú decisamente nel Manifesto della Ricostruzione Plastica dell’Universo del 1915, Balla e Depero parlano di stile futurista come «astrattismo complesso plastico-rumorista».Intorno al 1913 Boccioni tenta di realizzare le proprie ipotesi di resa dinamica ed emozionale dell’immagine in quadri quasi interamente non figurativi.
Questa breve digressione storica serve a chiarire la pratica fondamentale dell’assemblaggio costituita da due elementi fondamentali nella scultura di Albero Gallingani: Le Forme materiche nello spazio e l’astrattismo complesso, che ereditati da Tatlin e Boccioni, Gallingani sviluppa in chiave geometrica neocostruttivista e cosmoteandrica mettendo insieme nelle sue sculture il divino, il quotidiano e il cosmico. E lo fa con una texture dadaistica(la matrice del giornale) ma usata in chiave storica anziché ludica, e un costruttivismo geometricoe simbolico(il triangolo) polimaterico che rimanda sia al”Cuneo rosso “ di El Lisickij, che a”Linee forza del pugno” diBoccioni.

 

Ma Gallingani è attento e aperto a tutte le suggestioni e INNOVAZIONI soprattutto formali delle Avanguardie Storiche e dei movimenti più innovativi dell’arte contemporanea e studia con attenzione le teorie del Bauhaus, le accumulazioni di oggetti degli esponenti del Nouveau Réalisme, gli assemblamenti di Arman e L. Nevelson e gli Hand mades surreali di Sergio Dangelo, ma più per distanziarsene che emularli.

 

Gallingani è estraneo anche al lirismo di Calder e Melotti essendo forte in lui una componente espressionista che intende la scultura come una pittura tridimensionale polimaterica( forse guarda più a Mondrian, Albers,Vedova, Mastroianni, Giò Pomodoro, alla loro energia vitale estetica e sociale che trabocca dalle opere).

E più che al senso aptico, Gallingani guarda all’aspetto costruttivo, morfologico, etico, concettuale  e sociale dei suoi microcosmi espressivi carichi di memoria e desiderio, energia creattiva e matrici storiche, segniche e morali che lo portano a realizzare nel cuore di un ossimoro creativo le sue sculture che tracimano astrazione realista.

 

Gallingani dice No all’estetismo e citazionismo , Si ad un’estetica nuova, legata alla vitalità espressiva e storica di una creattività simbolica e poietica. Se la Pop Art rappresenta il regno del VEROSIMILE, l’arte totale polimaterica (legno, foto, gesso, pastelli, carta pesta etc…) di Gallingani ripropone la verità storica delle sue sinestesie polimateriche e policrome. Gallingani ci propone una scultura come teatro ontologico, come un altare sacrificale, le sue opere sono delle preghiere aniconiche che traboccano esperienze cosmoteandriche.

 

Da qualche tempo, sia alcuni lavori pittorici che le recenti sculture, sono denominate con la sigla AGN, seguita da una sequenza alfanumerica, come a indicare un referto, un inventario di catalogazione interiore di ciò che non può più essere semplicemente rappresentato, ma che l’accadimento interiore cristallizzato nell’intuizione dell’artista e nella materializzazione dell’opera deve essere nominato, catalogato, al di là di qualsiasi interpretazione simbolica o metaforica.

Questa nominazione che arriva dopo gli importanti cicli di “Geometria utopica” del 1973 e “Lettere da Berlino” del 1982-1986, e le sculture ambientali “Incombenti Realtà” del 2010, apre un nuovo ciclo espressivo dell’artista, che anche nella denominazione dell’opera, con gusto giocoso neodada, opera l’ennesima desacralizzazione dell’aura dell’artista e delle sue facoltà metaforiche, simboliche, sciamaniche, a favore di un dettato interiore spersonalizzato e utopico, che lascia completamente a chi usufruisce dell’opera la completa relazione semantica, iconica, estetica, realizzando la rappresentazione attiva e sinergica di un teatro ontologico attivo tra l’artista, l’opera e lo spettatore.

 

Le recenti Sculture di Gallingani sono microcosmi trascendentali,  bozzoli di reverie, delleaccumulazioni estetiche di concetti e  detriti di strumenti geometrico-artistici su uno sfondo storico di memoria collettiva, alfabeti polimaterici e policromi indecifrati e invisibili di vita interiore, estetica e sociale, passata, presente e futura. Da un punto di vista formale e stilistico ci sono delle costanti che caratterizzano il suo lavoro come le linee, frecce, il giornale, il movimento , la parola, e soprattutto il triangolo, come indicazione di un ritorno all’unità primordiale e di volontà creativa e rigeneratrice, cuneo del presente verso il futuro, strumento di illuminazione, cambiamento e potenza primordiale(il fulmine).

 

Il significato del Triangolo come grembo rigeneratore della Grande Dea rappresenta il più antico utilizzo di un simbolo finora conosciuto, provenendo dal Paleolitico.

“Il triangolo è l’anima della forma

Che danza nel cuore degli scultori

L’ossimoro stilizzato di un’astrazione realista”.

Poligono di tre lati, quindi con tre vertici. Il simbolismo universale del Triangolo si ritrova in tutte le tradizioni, è la manifestazione del ritorno all’unità primordiale. Il Triangolo si ricollega alle varie simbologie del ternario. Esprimeva prevalentemente sia l’idea della divinità, riscontrabile nel simbologia della trinità, sia l’idea dell’ascesi dell’uomo verso la trascendenza divina, l’Universale. Quindi il microcosmo che si innalza verso un macrocosmo e viceversa, cioè la protezione Divina (o delle potenze celesti) sul caos magmatico della materia, verso l’umanità e la natura.

 

Queste sculture di Alberto, ci suggeriscono e ricordano quattro cose fondamentali:

  • La scultura è un medium estetico innovatore
  • La scultura è una forma dinamica creatrice di nuova astrazione realista
  • La scultura è una cometa simbolica, percettiva e relazionale
  • La scultura è un feticcio sciamanico propiziatorio e liberatorio

L’operazione artistica innovativa di Gallingani è semplice: nell’epoca dell’iconologia digitale, virtuale, lui oppone una praxis e un valore della contaminazione polimaterica, la memoria dell’invisibile e del potenziale, una fenomenologia dell’ibrido, un feticcio semantico per la costruzione di nuovi sensi e significati.

La sua apparente desacralizzazione dell’oggetto artistico(titoli come referti catastali, lo scarto e l’effimero che diventano liturgia morfologica), non è una destrutturazione iconoclasta come potrebbe sembrare a uno sguardo superficiale, ma una costruzione ontologica che va oltre i riti dell’icona, del bozzetto o del prototipo. Gallingani propone i suoi reperti post sismici, e offre i suoi semi cosmoteandrici, l’idea della complessità strutturale, le matrici sinestetiche da percorrere e sperimentare oltre i manierismi e i gesti provocatori delle pseudo avanguardie.

Gallingani cerca e trova la genesi formale dell’informe, l’ibridazione dinamica, il tempo dell’assoluto,l’astrazione realista, il respiro di un’umanità che vuole fermare e vivere secondo canoni di una nuova realtà. Non è l’artista o il gesto che conta, ma le energie segrete della materia e dell’opera, con le sue potenzialità infinite e invisibili di medium estetico.

L’opera, in Alberto Gallingani, non è considerata un banale e mercificato oggetto estetico ma un reperto ontologico, in cui leggere e vivere le stratificazioni di senso, in cui il soggetto vero della sua Arte è la GENESI la rinascita di un’empatia cosmica che porti il fruitore dell’opera da uno sguardo retinico a una relazione umana deflagrante in una reverie estetica plurisensoriale, che crea accadimenti, con la grazia di un poeta che attraversa la storia col midollo del leone, che cerca e trova nella simultaneità onirico esistenziale nuovi simulacri d’utopia e nuovi orizzonti di possibilità.

Alberto oltre che grande artista si rivela come un fuochista incantato che continua a scavare sotto la cenere per trovare e donarci ancora la brace della bellezza e i tizzoni ardenti di creattività che scaldano il cuore dell’umanità e ci lasciano intravvedere una luce futura di senso oltre i bagliori fumanti della distruzione della nostra civiltà.

Milano, 18/03/2017

Bruno Freddi - L'amore oltre il muro

“Non può dedicarsi alla propria immaginazione

Chi ha smarrito il senso della realtà

Chi non sa vedere nelle realtà

Lo specchio infranto di ogni immaginazione

L’accumulo dimenticato e silente della bellezza ferita

E di un’opera incompiuta”

 

La scorsa estate ero andato a trovare il mio amico Alberto Casiraghi e tra un pensiero e l’altro sulla poesia e sull’arte, ad un certo punto la mia memoria mi fa citare un affresco visto in paese (Osnago) dove era ritratto Alberto, lodando l’artista pur se ignoravo chi fosse.

Allora Alberto mi disse…ma è Bruno Freddi vive qui a Osnago…allora chiesi di incontrarlo e Alberto mi accontentò. Mi ritrovai nel giro di pochi minuti nell’Atelier di Bruno Freddi.

Quale sorpresa e meraviglia si presentò agli occhi miei e della mia amica che andando via piangeva dalla gioia e dalla commozione di tanta bellezza.

Ci furono tre cose che mi colpirono immediatamente di Bruno Freddi. La prima cosa è la sua poliedricità creAttiva(pittore, scultore, uomo di teatro, operatore culturale,maestro di yoga, performer e ideatore della rassegna Biennale LA VOCE DEL CORPO, apertasi nel 2016 anche alla Street Art), la seconda la sua conoscenza delle arti, religioni e cultura orientale(Yoga e Tantra in primis), la terza la sua semplicità e naturalezza(tipica dei GRANDI) che mi ricordava molto Bruno Munari.

La visita nell’Atelier si trasformò in uno di quegli incontri che ti cambiano la vita e ti riconciliano con il mondo. Dopo ore di racconti, aneddoti, spiegazioni, mentre curiosavo e fotografavo in ogni angolo dello Studio e spulciavo tra carte, disegni, quadri, sculture e specchi, Bruno sempre paziente, calmo e sorridente riversava pensieri sull’arte e la vita, il tantra, la scultura, il teatro Butoh.

Ecco in sintesi come lo descrive il maestro in una recente intervista”… il Butoh, una disciplina contaminata, tra danza e arti figurative. I danzatori di Butoh rimangono sempre legati alle tradizioni. Il Nō e il Kabuki (teatro tradizionale giapponese, n.d.r.,) restano nei volti bianchi e nei canoni precisi da rispettare, ma ci sono delle “impennate”, e questo uscire dai canoni diventa il Butoh. I movimenti dei ballerini diventano più lenti, i loro corpi nudi sembrano quasi delle sculture. Dando possibilità al pubblico di vedere il personaggio fermo e nella terza dimensione, come in una scultura, si rimarca il legame molto stretto con le arti figurative….”

 

Freddi eccelle nell’affresco, nella pittura polimaterica e nella scultura polimaterica, ma si può dire che la sua ossessione artistica sia il corpo, la bellezza, l’amore (emblematici lavori come Adamo ed Eva, Il muro dell’Amore, Il Bacio, Il muro del tantra), dove l’artista indaga le valenze tantriche, arcaiche e cosmiche dell’amore.

In opere come” il muro dell’Amore”, l’amore danza con il suo corpo, il suo respiro cosmico, i segni arcaici che la sua anima si porta dentro da bambino quando vide il muro della sua casa bombardata. La materia e il colore si uniscono e si sedimentano sulla tela stratificandosi in zolle materiche e astrazioni mistiche, e il muro distrutto diventa matrice d’energia rigeneratrice.

Catarsi è una parola chiave nella ricerca e nel lavoro di Freddi. Le sue parole, azioni e opere sono catartiche, liberatorie e salvifiche, rigenerano mondi ed emozioni sconosciute e sopite, scardinano pregiudizi, offuscano falsi clamori e celebrano la vita nella sua essenza più intima e cosmica insieme. Nelle sue tele sangue, aurore , volti e corpi si uniscono per una redenzione dell’anima, per oltrepassare orizzonti e confini dell’invisibile.

Altre parole chiave per Freddi sono contaminazione ed espressione, di linguaggi, di stili e di culture che l’artista opera nel suo lavoro in modo armonioso e sorprendente, innovativo e classico insieme riuscendo a fondere classicismo e innovazione, oriente e occidente, materia , segno, colore e parola che in lui diventano puraespressione, teatro ontologico e pura relazione d’amore universale.

Se le sue espressioni  artistiche sono state diverse, arte orafa, affresco, pittura e scultura polimaterica, performer, e la sua matrice operativa e simbolica è stata il muro (che rappresenta per il nostro artista tante cose come: matrice di storie, traccia di ricordi, simbolo di un limite e di un altrove da abitare, lavagna di giochi d’infanzia, tavolozza arcaica e primordiale, Tavolozza grezza su cui lasciare i segni e le tracce della storia personale e collettiva),  il tema per eccellenza da lui rappresentato è il corpo, l’amore, l’armonia cosmica. E lo ha fatto partendo dai detriti e pezzi di muro recuperati e/o dipinti, con i gioielli, gli affreschi, i collages, le pitture e sculture polimateriche( vedi lavori emblematici come Muro dell’Amore, 2010; Muro Surreale, 2008; La musa, 2008;Muro incluso, 2011).

E’ ossessiva ed evidente in Bruno Freddi la ricerca del principio primordiale, della traccia vitale, dell’energia cosmica presente nel corpo e nella materia e che la cultura tantrica a cui Bruno fa espressamente riferimento, esprime mirabilmente. Al caos esistenziale che ci circonda e ci opprime, Freddi oppone l’energia psichica e materica della sua arte. Il suo voler essere nel profondo della natura e delle cose diventa un abbraccio collettivo infinito, un meraviglioso strumento di creazione empatica. L’Amore, in tutte le sue declinazioni e manifestazioni, è la libido cosmica della poetica dell’artista, l’invisibile tocco di magia rigeneratrice e purificatrice. L’artista diventa un corpo di luce e un’anima tridimensionale, che attraversa la sua ombra per donarci emozioni, eros, riflessioni materiche, divine e cosmiche. Infatti in una sua poesia Bruno scrive: “…eppure cosa farei/senza quell’ombra/che ridimensiona la mia anima.”

Un’attenzione particolare e una sottolineatura del valore innovativo e sperimentale merita a mio avviso la scultura polimaterica e policroma di Bruno Freddi, in cui la materia diventa da una parte il teatro relazionale, il pretesto neocostruttivista per un teatro alchemico dell’eros( vedi “Muro e figura”, bronzo del 2003; Vergini allo specchio”, Bronzo e acciaio, 2003; Shivalingam, legno e bronzo, 2003; Il Bacio, Bronzo, legno e colore, 2003; e dall’altra una matrice generatrice di senso tra astrazione e realismo, arcaico e realtà, materia e colore, bozzetti di ricerche ancestrali, e teatrini della memoria, scenografie materiche miniaturizzate per appunti iconici-aniconici(si vedano a titolo esemplificativo le opere: “Bozzetto per Rosso”, bronzo,ferro,legno,gesso,tela e colore, 1998; “La fuga dal sogno” Bronzo,mattone, gesso e colore, 2000; “Masolino tantrico”,bronzo,legno e colore, 2000; “Terra Rossa”, bronzo,legno, tela, 2005; “Ho appeso la luna al chiodo”, bronzo, legno e colore, 2006;”Appunti”, Bronzo,ferro, carta, 2007; ) in cui è evidente l’aspirazione aun’arte totale e creativogenetica, in cui il dialogo e la contaminazione tra materiali diversi, idee, riferimenti culturali e germinazioni intuitive di un respiro desiderante sono evidenti, un respiro che si fa corpo e visione, materia e voce dell’invisibile che vuole fermare il tempo per un ultimo sorriso all’umanità, un ultimo gesto d’amore alla natura.

Ulisse Casartelli - Stanza nr.12

“I matti sono poeti sopraffatti dal dolore

che nei momenti di lucidità scrivono poesie.”

Donato Di Poce

Ho conosciuto Ulisse Casartelli lo scorso anno dall’amico poeta ed editore Alberto Casiraghy, che stava stampando un suo “pulcino”, e da allora è nata un’amicizia e una stima umana e poetica reciproca infinita. Ho rivisto in lui il ragazzo sognatore e puro che ero alla sua età, ho rivissuto con lui drammi esistenziali e i morsi della solitudine, ho accompagnato il suo viaggio verso la scrittura e pubblicazione di questo libro e sono diventato un suo Fan.

Ho avuto infatti la fortuna di leggere anche gli altri due libri inediti di Ulisse “ Sulle orme del nulla” e “L’immensità della cenere” e ho la certezza che appena pubblicati, (ma per me lo è comunque), lo proietteranno di balzo tra i migliori poeti Italiani contemporanei.

Ma veniamo al nostro capolavoro “Stanza nr. 12”, un libro sofferto e liberatorio insieme…colmo di vita vissuta, esistenzialismo orfico e minimalismo visionario.

“Che sarà della nostra fragilità?” così si interroga il poeta finito nel girone dei dannati ma che ha ben presente la sua condizione esistenziale di  “Piccola formica/emozione spillo/sei caduta/nel fiume delle stelle.”

Questo libro colpisce per la purezza cristallina dei versi, e la lava incandescente della visione poetica che tracima dalle parole, un libro in cui il poeta usa la scrittura come terapia al dolore personale e all’angoscia cosmica che lo attanaglia, ma è anche un elisir creattivo, la matrice di una poetica fondante e rigeneratrice.

“…Follia

ora ti vedo

attaccata con i denti

ai miei talloni.

Non preoccuparti,

c’è posto anche per te,

questa mattina

prendo il flauto

e insieme suoneremo.”

Il poeta riconosce e accoglie il suo dolore e ne fa strumento di catarsi e liberazione di accoglimento solidale del dolore altrui.

“Stanza nr.12”è una galassia poetica che attraversa infiniti mondi poetici, dal disincanto struggente di Alda Merini alla visione surreale di Artaud, dal verso frammentato e orfico di Campana all’irriverenza linguistica ed esistenziale di Bukowski.

Ho avuto il privilegio insieme a pochi altri compagni di vita e di poesia di asssistere quotidianamente alla stesura di questo libro, che ha accompagnato Ulisse nella discesa agli inferi del dolore e dell’angoscia fino alla presa di coscienza di sé ed alla sua rinascita.

“Qui ci guardiamo negli occhi

nessuno ha un ruolo da mostrare

e con facce candide

lasciamo i nostri mostri

brillare.”

Durante questo percorso Ulisse si apre (ma lui direbbe”denuda”) completamente al mondo, all’ascolto di sé e degli altri, li chiama per nome e ne ascolta le storie, il dolore dei suoi fratelli di sventura e qui compie la prima azione geniale di poeta, ne fa strumento e linfa poetica per una terapia e catarsi collettiva. Charles(Stanza nr. 9), Matteo, Diego,Sergio, Olga, Francesco diventano corpo scrivente e simulacro di redenzione.

Il poeta è sopraffatto dalla poesia che tracima dal suo cuore, dal suo corpo, dalle sue vene e dal suo cervello dalle novità formali e poetiche che premono con urgenza e vogliono liberarsi nel corpo della scrittura, anzi tutto il libro e la sua vita sono un omaggio alla poesia e non a caso il libro inizia con una prefazione in versi e si conclude con una postfazione in versi.

Ulisse sopravvive a questa ondata di scrittura e di poesia della follia ascoltando musica(Chopin e Beethoven) e le canzoni disperate e liberatorie di Vasco Rossi, passeggiando in giardino, pensando ai suoi figli e sua moglie e telefonando ai suoi amici.

La seconda azione geniale che riesce a compiere è quella di coinvolgere e far diventare poeta anche il suo amico e medico (il Dott. Battaglia), pubblicando le sue poesie.

La terza azione geniale che compie e si riverbera nel libro è la pubblicazione in appendice del libro di una sezione intitolata”Le parole che curano”, pubblicando le poesie e i pensieri di chi gli stava vicino e lo stimolava, arrivando ascrivere poesia a 4 e 6 mani con i suoi amici poeti.

Alla fine del suo percorso Ulisse, diventa se stesso…poeta e artista del suo tempo con coscienza, vigore e stillicidio quotidiano di struggenti poesie che ama spesso pubblicare su face book fotografandole su una macchina da scrivere(altra idea geniale), che io chiamavo i suoi”cerotti esistenziali” che come Alda Merini, Ulisse appendeva ai muri della sua stanza.

“Buona notte Sogni cari

è ora di rincasare

nel mio cuore.” 

Le visione e le parole arrivano potenti e pure come una colata lavica, come un chiodo piantato nel cuore della terra, come un tuono improvviso che sprigiona la libertà e bellezza dei versi

Ulisse conclude il suo libro con questa amara constatazione:

Sono dovuto entrare in manicomio

per poter scrivere quello che avevo dentro

altrimenti la società non mi avrebbe mai

lasciato il Tempo.

Ora spero che la società sappia ascoltarlo e accoglierlo per la sua semplicità e grandezza d’uomo e di poeta! Io nel mio piccolo lo accolgo con questi versi che gli dedico:

I POETI

a Ulisse Casartelli

Le poesie migliori sono quelle appese ai muri

Quelle accartocciate e cestinate

Le lacrime ingiallite sul foglio

E quelle nascoste nelle scrivanie degli editori

I poeti sono solo galassie di segni cancellati

Esplose nei cieli della solitudine

Nell’orrore del domani

E nelle carezze fatte di nulla

I poeti veri sono quelli

Che scrivono di notte con un grido

Quelli che attraversano invisibili lo sciame mediatico

E inchiodano un verso

Sulle palafitte dell’umanità

E illuminano con un respiro

Il balbettio dei giorni bui.

 

Milano, 21.11.2016

Tiziana Cera Rosco - Il ritorno della Sposa Uccello

E’ da tempo che seguo il lavoro prima poetico e poi artistico/mistico/estetico di Tiziana Cera Rosco. Premetto che non è facile parlare di lei, tale la complessità del suo lavoro e immense sono le voragini di visioni che apre. Ecco cosa scrivevo di lei qualche tempo fa: 

“per dare l’idea delle tue capacità artistiche, poetiche e performative si dovrebbero citare troppi nomi GIGANTI dell’arte mondiale…ma il tuo respiro selvaggio e primordiale non lo accetterebbe, la tua matrice sperimentale è così piena di poesia da far impallidire troppi artisti blasonati. In una parola Tiziana tu sei vera e sei VIVA… In effetti la tua produzione ha anche qualcosa di sacro e di musicale ma io non ho le parole giuste per dirlo, c’è sempre qualcosa di profondo e di ritmato che scandisce il tempo e gli orizzonti delle tue creazioni…” 

Tiziana Cera Rosco è un’artista nomade, sempre in viaggio(sia reale che metaforico) sull’asse Estetico -Esistenziale BARREA-MILANO-PIACENZA-BERLINO- ISLANDA fa pensare in parte a certe performance di Marina Abramovic ma con un elemento selvaggio e surreale sconosciuti alla Abramovic, in parte alle combustioni di Burri e al senso del doppio e della crudeltà di Artaud, con una selvaggeria, sensuale ed elegante tutta propria e un uso del corpo messo a nudo in contaminazione con manichini, calchi, lunghe gonne e taccuini insanguinati, mai volgare ma denso di rimandi simbolici e mitologici.

Iniziamo a dire che la sua matrice visionaria ha ampi percorsi e orizzonti ancora da scoprire, e la sua forte personalità è il risultato di decenni di ossatura linguistico/poetica ( ricordiamo almeno le sue pubblicazioni IL DIO MACEDONE, e IL COMPITO brillantemente prefato da Milo De Angelis) e propiziatrice di un orto estetico in piena gemmazione onirico-fotografica, simbolica, e performativa.

Tale è la vastità ed eterogeneità dei suoi interessi che si può e si deve parlare di Costellazione Estetica, in cui lei sa far convivere mondi e macrocosmi diversissimi tra loro come la Action Poetry, L’Installazione Antropologica, la Fotografia visionaria, la Scultura mito-calcografica, La Performance Ambientale. E si legga qui un suo appunto poetico esemplare, tratto da una poesia inedita:

la casa è sollevata da una parola isolante
mentre lacero la carta con la punta
una polvere stellare impedisce di vedere le galassie
irrora il mio corpo in espansione chissà dove.
è solo l’oscillazione di un momento verso l’eterno, mi dico…”

Ogni sua opera è in relazione con il mondo e con il respiro del mondo, quindi in primis è un’operazione etica, che diventa ecologia esistenziale poi e infine dono estetico all’umanità. Il suo lavoro è un entrare dentro le vene del mondo, sentirne il calco, abitarne le cattedrali naturali, auscultare i silenzi, seminare grazia e creatività come in una danza sciamanica che ci ipnotizza.

Il suo dire e il suo fare scorre tra abluzioni metafisiche e sciami di quotidianità, cercando la nudità dell’essere e l’empatia estetica, in uno scarto esemplare di eticità e un deposito vibrante d’intuizioni binarie, polisemiche ed aptiche. La sua vita è un calco di emozioni a cui appartenere, un corpo d’abitare, un respiro da respirare insieme. Una volta entrarti nella sua spirale emozionale è impossibile uscirne se non vivificati e rigenerati.

Tiziana Cera Rosco, sta portando avanti da tempo un progetto performativo/fotografico denominato “La Sposa Uccello”. Giocando con la tradizione Surrealista di Max Ernst in vari contesti urbani e naturali sino ai deserti di ghiaccio dell’Islanda di questa estate, o contestualizzando in performance artistico/fotografiche in sinergia con altri artisti.

Una Sposa Uccello simbolica e surreale che vuole essere sposa e madre, uomo e donna, antagonista e regale, capace di un volo e un amore selvatico, di gesti rapaci e folli e scrutare l’anima del mondo con una grazia che solo la ferocia dell’amore conosce, che vive in una crepa stellare da cui vuole staccarsi. Una Sposa Uccello che cammina tra i ghiacciai neri d’Islanda e scruta i silenzi di una pietra, che cerca i linguaggi dell’aria e delle zolle di cenere, che si aggira tra i pescherecci arenati nel ghiaccio e dispiega le sue ali neri sul corpo bianco immacolato della poesia, che fa l’amore con Celan e Rilke e plasma nella creta Veneri di Willendorf,  un Rebis primordiale e selvaggio spacca l’io erotico in ascolto del sé profondo…

C’è una Sposa Uccello, che plana sulle ferite da curare, portando con sé mandrie di visioni da accudire e in effetti tutta la sua vita è un compito pre-estetico e una correzione estatica, una zolla cosmica da coltivare con cura.

E qui segue una mia visione poetica di questo lavoro in divenire in cui spesso si autoritrae e spesso si lascia fotografare da altri artisti:

IL RITORNO DELLA SPOSA UCCELLO

Per Tiziana Cera Rosco

E la sposa uccello arrivò sino al cuore dei ghiacciai neri

per trovare il suo nido d’infinito

ma le ali le sembrarono troppo piccole

per baciare le crepe del silenzio.

Allora si rimise in viaggio tra le zolle di ghiaccio

per trovare fondali sconosciuti e pezzi di cielo incollati sulle acque…

 

Lasciò le sue impronte visionarie sulla spiaggia nera

e arrivò ai confini del deserto di ghiaccio

sino a trovare tra le viscere della terra

una preghiera d’acqua e covò sette sogni

e volò nei sette cieli per accarezzare i seni del vento.

 

Poi, placata, appagata, indistinta e sola

scrutò a lungo l’orizzonte e la notte dei lividi d’amore

spiccò il volo all’alba dal tetto del faro bianco

si sedette ai bordi della casa di legno

a riflettere sui mondi dell’invisibile ei segreti del vento

e scrisse tutto sul suo taccuino d ‘Islanda.

 

Si dondolò a lungo tra il delta del fiume

e la bianca strada sterrata

poi ricominciò a scrutare i suoi abissi di dolore

il suo cuore visionario appeso al respiro

della terra madre e all’eden di chi sa volare alto

anche quando le catene del dolore

ti trattengono ancorata a terra

con l’anima sanguinante

e il corpo in balia della mattanza delle correnti

di visione, desiderio e disamore.

 

L’artista porta con sé il dono dell’immaginazione e la fascinazione dell’azione poetica e solo lei può vedere in un sottobosco una Cattedrale di Alberi e dopo la mattanza di fuoco e senso, ci mette dentro la grazia della redenzione, suona i tamburi della memoria e della solidarietà salvifica. Dopo il dissanguamento Esistenziale e Ambientale sa che solo un nuovo battesimo di meteorologia sentimentale ci salva, ci unisce , ci da speranza nel futuro.

L’artista sa che alla combustione dei luoghi segue la combustione dell’anima ma l’artista, da demiurgo dannato cova sotto la cenere le uova e le ossa del domani, ripristina nelle vene la forza del vento e il disorientamento della grazia e il corpo diventa telaio di un orizzonte estetico, e l’acqua il teatro di una passerella mistica onirica, rapace.

Vedete cosa scriveva Tiziana a proposito del progetto VER SACRUM

“Il 19 agosto è iniziato il rogo.
Ettari e ettari di danni. Danni vuol dire alberi e terra bruciata. Ora il l’Abruzzo me lo sono sposato. Ci sono nata ( mi padre è di Barrea ), in parte cresciuta ma l’ho sposato a fine gennaio del 2017. E l’ho sposato in un momento di grave difficoltà, quando vuoi condividere qualcosa con qualcuno, unirti.. Quindi la difficoltà fa parte di questo legame che è un legame ancestrale. Parlo di me perché alcuni di voi non li conosco e non mi conoscono e quindi non possono sapere che ho iniziato a performare nel bosco sul lago di Barrea una Preghiera che si chiama Patientia ed una preghiera legata al luogo, ai luoghi e RossoSangro che è l’unione che vi dicevo prima ( ma prometto di aggiungere informazioni cosi che possiate capire perché ho a cuore questo posto). Detto questo il motivo del gruppo è il seguente. vorrei cominciare a costruire, perché non ho altro potere che questa povertà d’azione in tempo reale ma non in tempo storico, un Cimitero che vorrei chiamare Ver Sacrum ( scusate se dico “io” ma questo “io” esiste solo perche ora tocca a me iniziare. Spero in un NOI. ) Immagino che si possano prendere i tronchi da quello che è rimasto dei boschi arsi, i resti degli alberi bruciati ( ovviamente senza disturbare nessuno)e portare questi tronchi morti nel posto più vivo che conosco in uno slargo al lago di Barrea. Immagino pezzi di tronchi neri come lapidi, un cimitero, un monumento alla memoria.”

Rinasce il respiro animale, il desiderio della zampata rapace, del volo onirico della Sposa Uccello, come se una stella dell’imperfezione e dell’impuro vivere, illuminasse la costola ferita della preda(la vita), che continua a rivelare ossari Aztechi e bare d’acqua e rinasce il senso civico di chi ama e vuole difendere il territorio della memoria e del sogno.

Chi ha la forza di distruggere un’opera? L’artista ovviamente che crea la sua stessa distruzione, che mummifica la sua immagine e poi la distrugge come ha avuto il coraggio di fare Tiziana Cera Rosco con la sua opera Pentasenso di cui scrissi:

“”Pentasenso” non è un io moltiplicato cinque volte, è un Sé che contiene altri Sé , un Io molteplice e plurale. Ogni garza un abbraccio, ogni sfilacciamento un ricordo, gli occhi chiusi a proteggere l’intimità del mondo.” E a quest’opera distrutta(e per questo creata due volte, la prima nel calco ripetuto, la seconda nel gesto iconoclasta) dedicai questi versi:

DISTRUGGERE UN’OPERA
per Tiziana Cera Rosco
Solo l’artista creativo

Ha la forza di distruggere la sua opera

Sacralizza l’azione e umanizza il gesto

Distrugge l’opera per auscultare

Le sue implosioni estetiche

L’artista creativo ascolta solo la sua visione interiore

E ne fa un imperativo estetico

Un nido di caos creativo

Perché la sua testa è un nido di visioni

Distrugge l’opera ma vede l’invisibile.

 

Non è un caso che nelle sue opere torni spesso l’elemento del fuoco e quello del sangue, essenziali elementi di catarsi e rigenerazione, di suture e di simulacri e rivelano l’amore per grandi artisti come Artaud e Burri. E’ esemplare un suo scritto del 2015.

“ IL FUOCO… la prima volta che mi sono incendiata è stato un incidente. le mie mani erano coperte dal poliuretano diventato liquido con l’incandescenza, cosa che mi aveva impressionato con la sua bellezza devastante tanto che, per qualche pericolosissimo secondo, sono rimasta immobile a guardare il mio involucro di gesso, con le mie fattezze, il seno, la curvatura del collo e il viso, colare fuoco e ardendo completamente verso l’alto. un eccesso di liberazione inaspettata. da quell’episodio dismisi per molto tempo di farmi calchi ( cosa che avevo iniziato in maniera compulsiva, riuscendo a farmene due o tre al giorno, come dovessi sbrigare l’urgenza più profonda fino ad allora)e il lavoro riprese il suo biancore. il simulacro di quell’episodio non l’ho mai usato per fare le statue. sta con ne nel nuovo studio a faccia in giu. ogni volta che entro nella legnaia, dove li lavoro ora, è lì a ricordarmi cosa vuol dire bruciare forme, prendere vita e che nascere è abbandonare un morto. il mio amato Artaud, che accompagna tutto questo svolgersi del lavoro.
Questo sarebbe solo un incidente di percorso venuto a depotenziare l’escursione del limite se non fosse che ogni limite è solo l’altro versante di un accesso, e questo non bisogna dimenticarlo. così ho imparato a bruciare forme e piano piano a contenere il fuoco come si contiene un suicidio sempre pronto a divampare nella morte naturale.
man mano non solo brucio forme ( le mie, i miei doppi, le mie fattezze intonacate) ma le consumo fino ad una penultima cosa. che ancora non conosco la cosmografia di un corpo antico col quale fummo ingenui nel crederlo protetto. e che è difficile da finire ( uccidere?) nel colloquio che sempre si ha con il lavoro e col mondo, difficile da polverizzare. Inizia così, dopo Ninive, l’altra mia città CARTAGINE che nasce bianca, vuota, arsa, un passaggio di forme, un monito di distruzione fino alla cenere.
Così Brucia Cartagine”
bende, gesso, incendio, simulacro.
Piacenza, aprile 2015
i resti saranno appesi fuori dalle porte.

 

L’artista è semplicemente questo essere presente, un ponte tra le cose, sopra argini di dolore e di solitudine che azzanna l’anima a ogni risveglio. L’artista vuole essere giaciglio, lago, orizzonte, una sponda nascosta dove nascono comete, una garza che vuole trattenere il sangue, tra i calchi dell’essere, tra i volti bianchi di replicanti di vuoto, come un Dio morente che vuole essere vivo.

L’artista è un Dio presente che vuole rifare il mondo, irradiare di sé gli scudi del tempo, riempire di parole nuove i pozzi della ragione, regalare una nota musicale al silenzio dell’Universo.

La Sposa uccello, vuole spalancare il nulla, con un gesto, una presenza, un grido, un richiamo di artigli doveroso e poi volare alto sopra i boschi, cuori d’acqua e cime segrete. E questo fa la Sposa Uccello, dopo aver ritrovato un vuoto, un nome, una memoria inviolabile, trasforma il suo alfabeto di sensi in carne sanguinante e apparecchia un banchetto teologico per anime sacre, pure, pronte all’ascensione di sé nei peripli della visione.

A questo punto le parole diventano inutili avanzi di scrittura che cancelliamo, correggiamo, accumuliamo in taccuini di cenere e inchiostro mentre la vita ci danza accanto. Scrivere diventa solo un esercizio di linee cerebrali, un dispositivo dinamitardo delle proprie credenziali. Si esplode all’improvviso ci illuminiamo, si trapassa da un labirinto di sangue a una culla di vuoto, si espiano colpe altrui solo per non morire nel disonore. E’ come passare un compasso di luce sull’Eternità e scrivere col sangue la propria e la nostra storia futura, cosmopolita, polisemica che vede e sente l’invisibile. Lei è già un’opera d’arte totale( ma forse non lo sa) e questo le permette di regalarci altri graffi comosmoteandrici come una stella danzante, che vive in stato di latenza, aperta a ogni futuro possibile e regalarci altre opere, visioni, foto sculture che ci lasciano dentro un seme d’incanto, un respiro di grazia e sangue… 

IL SANGUE
per Tiziana Cera Rosco
Il sangue purifica

Il sangue leva il dolore

Il sangue rinnova

Il corpo espelle linfa insanguinata

Mentre l’eros attende il rinnovo della grazia

Lo sguardo che uccide/Il rosso che acceca

Il corpo appeso all’albero della rigenerazione

Disseta le sue radici

Selvagge e pure

Il volto non ha nome

La grazia non ha respiro

La vita non attende

E non dite di non sapere.
Donato Di Poce

Milano, 17/10/2017

Rita Pacilio - Prima di andare

“Quando sono qui non ho parole
lascio fuori il mio uragano
incustodito, lascio a casa

la rabbia di cenere e carbone,
la tua bestemmia
pronunciata in basso, fino allo scorno
persuadendo il vizio dell’amore.”

                                Rita Pacilio 

Questi versi tratti dall’ultimo libro di Rita Pacilio, “Prima di andare”, testimoniano bene gli esiti di un lavoro serio e rigoroso che la poetessa sta portando avanti da tempo.

In effetti questo libro è il terzo di una trilogia iniziata nel 2012 con “Gli imperfetti sono gente bizzarra e Quel grido raggrumato, tutti editi da La vita felice, in cui si articola un discorso poetico incentrato sulla Pietas, verso le vite disperate, straziate, martoriate, da una parte, e verso la lingua, la voce e la memoria del verso e della bellezza dall’altra.

Nel verso prendono vita energia musicale e dolore esistenziale, pietà e imperativo estetico alla ricerca di una umanità poetica ed esistenziale di rara intensità.

Poche poetesse hanno testimoniato come lei la visionarietà solidale nei versi e nella vita, basata su un’etica nomade post-femminista, post –sperimentale e post-identitaria.

A Rita interessano le urla di dolore della Storia di cui nei versi traccia contaminazioni e incubazioni plurali di futuro.

Leggiamo insieme alcuni passi dalla 1^ lettera:”…Vieni a vedere chi sono diventata, inavvertitamente, apparsa sul mio volto, mentre da lontano, da lontanissimo albeggi gli attimi mutilati ai miei”. E’ dai tempi di Rimbaud e Baudelaire che non leggevo prose poetiche di tale intensità…

Il libro si compone di cinque lettere d’amore e trentanove poesie e non si capisce dove inizia l’amore e dove finisce la poesia, la lettura è tutto un brusio jazz, un testamento automatico di confessioni, identificazioni, memorie e desideri che attraverso l’alter ego di una donna anziana, si fa medium della memoria della vita e del mondo.

Si fa strada nei versi e nelle poesie il concetto di “Bene Sociale” e di “Altritudine”, come leggiamo ancora nell’esemplare 1^ lettera: “…Un’altritudine, un traliccio in cui passa la filovia, il tram, il circuito di esperienze e storie, gli schiamazzi, le parole fioche, le abitudini che avevamo. Io sono la Storia…”, ed albeggiano tra i versi, lampi di liberazione:

”Volerò acuta per svuotare/la libertà dalla condanna di qualcosa”; “”Non maledire/le parole dei poeti che mi hanno/voluta in sposa e poi copiata”; “Dietro di me impronte larghe/gomiti profondi di pazienza/ urlati in questa vita senza voce”; “Mi sono allungata accanto a te l’altra sera/sembravo diluita nella lacrima distesa”; “Mi riconoscerai da questi rametti che porto/ sul cuore, dagli orecchini color oceano e / dalle alghe arrotolate alla gonna che indosso”.

Ma il cuore della poetica umanistica e libertaria del libro si rivela magicamente nelle ultime 4 righe del libro che sono una chiusa linguistica e un’apertura esistenziale:

“Stordisciti di sapienza, capelli sciolti, di polmoni vuoti e verità. Quando non ci sarò più schiarisci la voce e tieni con te il carico prezioso della tenerezza umana”.

La forza dei versi e delle prose poetiche di Rita Pacilio, credo sia tutta nell’attraversare l’inferno della vita e uscirne con un “grido raggrumato”(non a caso titolo di una sua precedente raccolta), un messaggio d’amore e di speranza, ascoltare il dolore del mondo e ricongiungersi con la grazia di un bambino, una forza incombente e incontrollabile come un ciclone che si abbatte sul paesaggio e dopo resta solo una donna o un poeta(ma in lei sono la stessa cosa) a raccogliere la grazia della distruzione e dell’abbandono, ad aspettare tutta la notte il sorgere del sole, con in mano lo straccetto della libertà e nell’altra la mano di qualcuno d’amare.

Stupisce ogni volta la magia della creatività linguistica di Rita che diventa, musicalità del verso, elegia, magia esistenziale, come aleggiasse sopra di lei una nuvola del bene che segue la drammatica diagnosi del nostro presente. Il suo Io lirico diventa sempre un Noi collettivo, è facile e immediato identificarsi e riconoscersi nella solitudine solidale dei suoi versi, accogliere l’amicizia del bene vero che ti testimonia e scrive.

E’ struggente l’importazione di umanità, bene e di bellezza che Rita Pacilio compie nei suoi libri, in volo precario su mondi reali e immaginari, le sue pagine sono una metafora eucaristica della creazione che si fa sangue e carne di un Cristo fatto Rebis(Uomo e donna insieme) vivo contro l’iconoclastia distruttiva del mondo che vuole e può essere salvato solo dall’amore e dalla tenerezza.

Ma quello che personalmente mi fa amare i versi di Rita è la visionarietà solidale e l’entropia estetica latente che volteggia nell’aria, la musicalità libera pronta a farsi elegia e canto che albeggia tra le parole. Non c’è misurazione di campo o d’energia che possa rendere questo bene che lei fa a se stessa e alla poesia. Rita sa che lo sguardo poetico ha occhi per vedere e sentire oltre il battito cardiaco dell’umanità dolente, e che l’energia delle parole oltrepassa il dilagare dei silenzi o del caos spessi troppo colpevoli dei media, Rita sa che

“I versi sono battiti di silenzio/Che ascoltano il cuore del mondo”.

Milano, 28/08/2017.

***

 Rita Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, collaboratrice editoriale, sociologa, mediatrice familiare, si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Curatrice di lavori antologici, editing, lettura/valutazione testi poetici e brevi saggi, dirige per La Vita Felice la sezione ‘Opera prima’. Sue recenti pubblicazioni di poesia: Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice 2012) traduzione in francese Les imparfaits sont des gens bizarres, (L’Harmattan, 2016 Traduction en français par Giovanni Dotoli et Françoise Lenoir) e prossima la traduzione in arabo, Quel grido raggrumato (La Vita Felice 2014), Il suono per obbedienza – poesie sul jazz (Marco Saya Edizioni 2015), Prima di andare (La Vita Felice, 2016). Per la narrativa: Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria 2011). La principessa con i baffi (Scuderi Edizioni 2015) è la sua fiaba per bambini. È stata tradotta in greco, in romeno, in francese, in inglese, in napoletano.

Sonia Scaccabarozzi - Bussando alle porte del cielo

Ho recentemente scoperto l’opera di Sonia Scaccabarozzi in occasione del Festival della Letteratura di Arcore del 2017, con una sua opera dal titolo l’Amore silenzioso, esposta nel parco delle sculture. Ho poi approfondito e seguito il suo lavoro per tutto l’anno. Ed è stato un anno prolifico di opere e di poesia scolpita, in un crescendo di sorprese e di bellezza..

Si perché il primo dato che colpisce è la poeticità del suo lavoro( e non solo nei titoli che pure sono rivelatori) ma dal senso aptico di carezza e identificazione simbolica/metaforica che liberano le sue opere.

Gli altri due aspetti stilistici e poetici che colpiscono di Sonia sono la leggerezza ( non dimentica la lezione di Calder e di Melotti), e la catarsi cosmica in cui le opere ci proiettano.

Vediamo più da vicino alcune opere: Inno alla Vita, 2016 (Un uovo in ferro carico di simbolismo, con la parola vita scritta in tutte le lingue); In mezzo alle stelle( Una luna di Foscoliana memoria sospesa tra le stelle invisibili ma presenti); No acqua no party,2017 ( La carcassa di un pesce che ricorda ironicamente Picasso e la leggerezza di Melotti); Acchiappastelle, 2017 (Una corteccia abbandonata e da lei intelligentemente salvata e riutilizzata come nido e piattaforma di ami in ferro acchiappa stelle, che ci riporta ai giorni dell’infanzia dove con ami fatti d’erba cercavamo di catturare lucertole, sogni e stelle); La bellezza di essere un seme,2017( Tre cuori rossi come bulbi cosmici da cui sbocciano vene cosmiche da i polivalenti significati simbolici come il cuore della terra, il seme della vita etc..).

Queste opere ci danno già un orizzonte tematico e stilistico di grande attualità, innovazione e coinvolgimento. Scorgiamo nella sua ricerca grande libertà e voglia di reinventare il medium della scultura, renderla leggere e impalpabile, come gocce d’acqua o nuvole di cemento con cui paradossalmente bussare alle porte del cielo come fa emblematicamente con due opere : L’ultima Goccia e Nuvole (2017). Ecco di seguito alcuni aforismi ispirati alla poetica della goccia da lei splendidamente realizzata con altre 5 bellissime gocce bianche contenenti microcosmi estetici:

L’infinito è una goccia di poesia leggera
Che fluttua nell’anima del ferro.
***
Le lacrime dei poeti
Sono colature di silenzi sgocciolati
Sul respiro colorato dell’arcobaleno.
***
L’amore è una goccia d’inchiostro
Nascosta tra le palpebre innamorate
Mentre gli occhi impazziscono di silenzi.

Il fatto è che l’artista ci proietta con il suo lavoro lontano da senso comune del manufatto artistico e della materia scolpita, perche a lei interessa spersonalizzare la materia , renderla quasi invisibile e impalpabile. Ed è chiaro che le interessa scolpire e comunicare idee, sogni, visioni, metafore che la attraversano e si annidano dentro la sua anima dolcemente inquieta e irresistibilmente empatica.

Se al giorno d’oggi, la fotografia, la moda , la pubblicità, ci proiettano in un mondo ovattato ma ostile, luccicante ma freddo, retorico e barocco, le sue sculture sono un antidoto di vere bellezza ed empatia con il bello, il vero e il buono che abbiamo dentro e spesso nascondiamo e non riusciamo a tirare fuori, la poesia e la bellezza del mondo stanno lì.

Sonia riesce con grazia e leggerezza a non imporre nuovi calchi e acrobazie materiche di tanta scultura contemporanea, ma realizza hand-mades che spiegano la semplicità della poesia e del rapporto dell’uomo con il mondo. Rispetto ai tecno teologi dell’arte e ai seminaristi della digitalizzazione, Sonia riscopre il valore della spontaneità poetica e della leggerezza materica( inserisce sempre, garze metalliche e colori ) alle sue opere fatte di vento e di memoria, di desiderio celebrato nell’eucarestia del ferro e miele che sono le sue opere, che spostano l’attenzione dal oggetto scultura al soggetto uomo.

Le sue opere fuori moda avvolgono in un abbraccio nostalgico del senso e dei perché della vita, ci portano alla domanda fatidica: Cosa significa scolpire?

La risposta di Sonia Scaccabarozzi sembra essere, dare esteticità all’essere, spiritualizzare la materia, catturare e restituire la poesia nascosta nelle piccole cose. E lo fa con intelligenza e modernità, ovvero accogliendo nella sua innata razionalità e precisione la polisemia della vita e dell’inconscio che si affacciano a dare quella sorpresa e stupore alle opere che le rendono vive e attuali e fuori dal folle circuito mediatico esso si psicopatico e neurotico.

L’artista ci trasporta con semplicità e immediatezza, nel cuore del rapporto tra pensare, poetare, fare, comunicare, con un surplus di dimensione etica ed estetica difficili da ignorare, perché ripercorre le matrici interiori dell’essente e del sentire, con uno spirito innovativo e utopistico, che tende all’essenze e alla purezza delle cose, dove il sentire la vita e l’arte diventano un darsi come dono e rivelazione. Ogni opera sembra un progettare la sua anima per il futuro fatto di visioni e abbracci invisibili. Ecco di seguito una poesia ispirata alle sue nuvole.

NUVOLE DI CEMENTO

per Sonia Scaccabarozzi

Nuvole di cemento bussano alle porte del cielo
Si farà la casa delle stelle
E le comete
Che solo io e te vediamo
Tra i tondini di ferro arrugginiti
Indicheranno la via ai sognatori
E ai costruttori di futuro
Dove tutti troveranno un rifugio
E le finestre saranno occhi spalancati
Sulla polvere incatramata d’azzurro
Siamo migratori dell’Universo
Che camminano sognando
Sotto lo stesso cielo. 

Le opere di Sonia inducono quasi ad un’azione sospesa o differita, la sua comunicazione diventa ludica e piena di seduzione, inducono ad una rinascita e un agire spirituale e inducono ad una solidarietà estetica e poetica prima ancora che civile e artistica. Nel suo lavoro azzera la rivalità tra forma e materia, l’opera diventa un nuovo microcosmo estetico e poetico da custodire nei cassetti dell’anima e il cuore diventa una bussola impazzita che continua a bussare alle porte del cielo.

Milano, 17/10/2017

Max Marra - Suture, Miraggi e Approdi

MAX MARRA: SUTURE, MIRAGGI E APPRODI

Donato Di Poce

 

Mai tracimati silenzi danzarono nella notte

Andando nel Cosmo e dei confini oltre

Xenofobi e rozzi antiesteti lasciati a terra.

 

Mai traccia di grazia estrema

Andò oltre ogni prospettiva di nuova vita

Riannodando Cosmi dispersi nei cieli

Raccogliendo parole e colore

Attaccando alle stelle del cuore un bianco sudario d’Amore.

Donato Di Poce

Milano 25/1/ 2018

 


 

“Il bianco ci colpisce come un grande silenzio

 che ci sembra assoluto

Parlare di un artista contemporaneo dopo che si sono occupati di lui numerosi e autorevoli colleghi(come Mimmo Rotella e Sergio Dangelo) o critici e poeti (come Luigi Bianco, Teodolinda Coltellaro, Teresio Zaninetti, Luigi Marsiglia, Felice Bonalumi, Philippe Daverio, Jean Blanchaert, Luigi Cavadini, Claudio Rizzi, Giorgio Bonomi, Marco Meneguzzo e altri) potrebbe sembrare difficile e irriverente, ma l’amore che ho per questo artista tra i più sperimentali, eclettici e dotato di senso etico e umano, che conosco, non mi fa desistere dal darne testimonianza.

Come spesso succede per Artisti affermati e con un lungo percorso espositivo e di ricerca alle spalle, come Max Marra, le opere oggi esposte ( la mostra si intitola SUTURE,MIRAGGI E APPRODI ) sono un attraversamento e insieme un punto di arrivo e di approdo di un lungo e avventuroso periplo di ricerca artistica ed esistenziale, materica, estetica e poetica, e non si potrebbero cogliere pienamente questi favolosi “monocromi bianchi”, se non si pensa all’infanzia del Maestro tra i pescatori (che cucivano le reti rotte dopo la pesca) e alle nonne e madri ricamatrici(che ricamavano colori, sogni e bellezza su bianchi teli di lino) di Paola.

Questo l’incipit esistenziale, a cui segue poi il viaggio e residenza al Nord, che diventa come per Ulisse metafora di vita e di ricerca, d’incessante sperimentazione dell’oltre, di incontri e navigazioni verso mete sconosciute, di miraggi e visioni e ritorno alla sua amata Itaca, ma che nel caso di Marra diventa il COSMO che diverrà presto l’unico vero interlocutore e orizzonte estetico da esplorare, cui approdare e fare riferimento, per andare oltre la materia, l’umano e il quotidiano di cui pure il nostro artista si nutre e ama follemente.

Arrivano gli anni della Giovinezza e della maturità con l’immersione estetica nelle ricerche dell’Avanguardia Artistica Italiana( Castellani, Bonalumi, Burri) e Internazionale (Malevic, e Christo su tutti) e l’opera di promotore culturale e artistica da lui svolta tra Milano, Monza e Lissone e l’attività espositiva che lo ha portato ad esporre oltre che in Italia, a Parigi,(Francia) Sofia(Bulgaria), Dubrova(Croazia), Barcellona(Spagna) etc…

Prima di parlare di queste opere, sarà opportuno ricordare ad un pubblico meno specialista e non avvezzo all’arte astratta e aniconica, la grande versatilità tecnica ed estetica di Marra(che è oltre che pittore e scultore, un disegnatore surreale eccezionale e a mio modesto avviso secondo solo a Picasso), insomma un vero artista a 360 gradi, che giunge all’astrazione, alla sperimentazione e assemblaggio polimaterico dopo mostre neo figurative e classiche come “Il Ghetto” “Lode a S. Francesco da Paola” e “Omaggio a Rembrandt” e un intenso e incessante viaggio sperimentale.

SUTURE…Queste opere iniziate negli anni ’80 e tuttora in divenire, sono un’isola quindi un approdo, ma anche una traccia e una prospettiva, sono un portale emozionale, sono delle meteore, giunte da uno spazio ferito e ricucito con amore, sono miraggi che invitano a vedere oltre, sono delle rarefazioni cosmiche e delle dune esistenziali e simboliche che invitano alla carezza, al toccare le ferite e le ricuciture quasi un invito a prendersi cura dell’anima del mondo ferita e abbandonata a queste zolle di cielo, a questi spazi disadorni e disabitati, dove pulsa solo l’amore cosmico con le tracce minimali di utopie bianche spazio 0.0. di un grande sognatore visionario di un nuovo umanesimo.

Queste opere di Max Marra, possiamo definirle tecnicamente delle Estroflessioni polimateriche monocrome bianche(a cui si è accompagnata analoga ricerca in nero). Emanano un’aura spirituale e sacra, sono preghiere di purificazione e redenzione e rimandano anche ai panneggi velati di Cristo di cui è piena la Storia dell’Arte, ma anche alle sperimentazioni geometriche aniconiche di Malevic e agli “Impacchettamenti” di Christo Yavachev, eppure hanno una loro autonomia estetica ed energia interiore fortissima.

Citiamo a titolo di esempio opere come “Statica Silente”, 2002; “Cieli di Cosmos”, 2013; “Campi dell’Anima “, 2010; “Giardino Cosmos, 2011), esemplari opere polimateriche in cui la poetica sacrale e rarefatta, redentrice e simbolica diventa esemplare in campiture bianchissime, suture delicate e campi simbolici e semantici di rara fattezza, e l’opera di medium tra sacro e profano, terra e cielo, anima e materia, diventano per Marra territorio di preghiera estetica ed estatica, un bianco sudario d’amore.

La forza delle “Suture” e delle tele bianche policrome di Marra, sta nell’immersione nel silenzio di un’altra dimensione, nella cattura dell’anima invisibile delle cose, e nella contaminazione aurorale e sacrale dell’Arte.

Il bianco di Marra, non è mai qualcosa di assolutamente puro, è fatto di una varietà di pigmenti, cuciture, rigonfiamenti e strappi, di tensioni che reclamano attenzione. Queste opere sono modernissime e potenti, perché vanno oltre il minimalismo, di Robert Ryman i cui dipinti sono caratterizzati da pennellate bianche su tele quadrate, il suprematismo classico e geometrico di Malevic e i  White Paintings di Robert Rauschenberg.

Alle sovrapposizioni di bianco su bianco di Malevic e alle variazioni di texture di  Rauschenberg, e alle tele quadrate di Ryman, Marra risponde con uno sventramento della tela e delle pelli, intervento di estroflessione e ricucitura di tensioni, abrasioni, ferite, tagli realizzando un nuovo campo semantico polimaterico ed estetico, trovando la saldatura simbolica con l’altrove realizzando ciò che il bianco significa, ovvero stupore, incanto, luce, purezza e redenzione. Il Bianco di Marra diventa nido esistenziale e piattaforma di luoghi e spazi interiori, rifugio dell’anima e dell’invisibile.

Lasciamo la mostra appagati e purificati oltre che pieni di empatia cosmica ed estetica e pronti a fare con Marra un prossimo viaggio verso nuovi orizzonti umani, poetici ed estetici.

***

Milano, 1/2/2018


Biografia

MAX MARRA nasce a Paola, in Calabria, nel 1950. Trasferitosi negli anni ’70 a Lissone, vi lavora tuttora. Artista di grande vitalità e forza espressiva, attraversa nel suo iter evolutivo i modi più vari del fare arte su percorsi di costante contaminazione linguistica. Artista multidisciplinare, dagli anni ’80 indirizza la propria ricerca verso l’integrazione del disegno, pittura e scultura utilizzando materiali di forte valenza comunicativa che si coniugano al linguaggio artistico delle avanguardie storiche e trovano riscontro nelle radici espressive dell’arte europea. Fitta è la serie di presenze in rassegne nazionali e internazionali, così come numerose la mostre personali presso istituzioni pubbliche e gallerie private. Sue opere figurano in prestigiose collezioni pubbliche e musei come, fra gli altri, la Banca di Credito Cooperativo di Carate Brianza, sede di Lecco, la Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, il Museo d’arte contemporanea di Lissone, il Museo Michetti d’Arte Contemporanea di Francavilla al Mare, il Duta Museum of Arts Giakarta, in Indonesia e il Museum of Arts Guanzou, in Cina. 

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