Ulisse Casartelli - Stanza nr.12

“I matti sono poeti sopraffatti dal dolore

che nei momenti di lucidità scrivono poesie.”

Donato Di Poce

Ho conosciuto Ulisse Casartelli lo scorso anno dall’amico poeta ed editore Alberto Casiraghy, che stava stampando un suo “pulcino”, e da allora è nata un’amicizia e una stima umana e poetica reciproca infinita. Ho rivisto in lui il ragazzo sognatore e puro che ero alla sua età, ho rivissuto con lui drammi esistenziali e i morsi della solitudine, ho accompagnato il suo viaggio verso la scrittura e pubblicazione di questo libro e sono diventato un suo Fan.

Ho avuto infatti la fortuna di leggere anche gli altri due libri inediti di Ulisse “ Sulle orme del nulla” e “L’immensità della cenere” e ho la certezza che appena pubblicati, (ma per me lo è comunque), lo proietteranno di balzo tra i migliori poeti Italiani contemporanei.

Ma veniamo al nostro capolavoro “Stanza nr. 12”, un libro sofferto e liberatorio insieme…colmo di vita vissuta, esistenzialismo orfico e minimalismo visionario.

“Che sarà della nostra fragilità?” così si interroga il poeta finito nel girone dei dannati ma che ha ben presente la sua condizione esistenziale di  “Piccola formica/emozione spillo/sei caduta/nel fiume delle stelle.”

Questo libro colpisce per la purezza cristallina dei versi, e la lava incandescente della visione poetica che tracima dalle parole, un libro in cui il poeta usa la scrittura come terapia al dolore personale e all’angoscia cosmica che lo attanaglia, ma è anche un elisir creattivo, la matrice di una poetica fondante e rigeneratrice.

“…Follia

ora ti vedo

attaccata con i denti

ai miei talloni.

Non preoccuparti,

c’è posto anche per te,

questa mattina

prendo il flauto

e insieme suoneremo.”

Il poeta riconosce e accoglie il suo dolore e ne fa strumento di catarsi e liberazione di accoglimento solidale del dolore altrui.

“Stanza nr.12”è una galassia poetica che attraversa infiniti mondi poetici, dal disincanto struggente di Alda Merini alla visione surreale di Artaud, dal verso frammentato e orfico di Campana all’irriverenza linguistica ed esistenziale di Bukowski.

Ho avuto il privilegio insieme a pochi altri compagni di vita e di poesia di asssistere quotidianamente alla stesura di questo libro, che ha accompagnato Ulisse nella discesa agli inferi del dolore e dell’angoscia fino alla presa di coscienza di sé ed alla sua rinascita.

“Qui ci guardiamo negli occhi

nessuno ha un ruolo da mostrare

e con facce candide

lasciamo i nostri mostri

brillare.”

Durante questo percorso Ulisse si apre (ma lui direbbe”denuda”) completamente al mondo, all’ascolto di sé e degli altri, li chiama per nome e ne ascolta le storie, il dolore dei suoi fratelli di sventura e qui compie la prima azione geniale di poeta, ne fa strumento e linfa poetica per una terapia e catarsi collettiva. Charles(Stanza nr. 9), Matteo, Diego,Sergio, Olga, Francesco diventano corpo scrivente e simulacro di redenzione.

Il poeta è sopraffatto dalla poesia che tracima dal suo cuore, dal suo corpo, dalle sue vene e dal suo cervello dalle novità formali e poetiche che premono con urgenza e vogliono liberarsi nel corpo della scrittura, anzi tutto il libro e la sua vita sono un omaggio alla poesia e non a caso il libro inizia con una prefazione in versi e si conclude con una postfazione in versi.

Ulisse sopravvive a questa ondata di scrittura e di poesia della follia ascoltando musica(Chopin e Beethoven) e le canzoni disperate e liberatorie di Vasco Rossi, passeggiando in giardino, pensando ai suoi figli e sua moglie e telefonando ai suoi amici.

La seconda azione geniale che riesce a compiere è quella di coinvolgere e far diventare poeta anche il suo amico e medico (il Dott. Battaglia), pubblicando le sue poesie.

La terza azione geniale che compie e si riverbera nel libro è la pubblicazione in appendice del libro di una sezione intitolata”Le parole che curano”, pubblicando le poesie e i pensieri di chi gli stava vicino e lo stimolava, arrivando ascrivere poesia a 4 e 6 mani con i suoi amici poeti.

Alla fine del suo percorso Ulisse, diventa se stesso…poeta e artista del suo tempo con coscienza, vigore e stillicidio quotidiano di struggenti poesie che ama spesso pubblicare su face book fotografandole su una macchina da scrivere(altra idea geniale), che io chiamavo i suoi”cerotti esistenziali” che come Alda Merini, Ulisse appendeva ai muri della sua stanza.

“Buona notte Sogni cari

è ora di rincasare

nel mio cuore.” 

Le visione e le parole arrivano potenti e pure come una colata lavica, come un chiodo piantato nel cuore della terra, come un tuono improvviso che sprigiona la libertà e bellezza dei versi

Ulisse conclude il suo libro con questa amara constatazione:

Sono dovuto entrare in manicomio

per poter scrivere quello che avevo dentro

altrimenti la società non mi avrebbe mai

lasciato il Tempo.

Ora spero che la società sappia ascoltarlo e accoglierlo per la sua semplicità e grandezza d’uomo e di poeta! Io nel mio piccolo lo accolgo con questi versi che gli dedico:

I POETI

a Ulisse Casartelli

Le poesie migliori sono quelle appese ai muri

Quelle accartocciate e cestinate

Le lacrime ingiallite sul foglio

E quelle nascoste nelle scrivanie degli editori

I poeti sono solo galassie di segni cancellati

Esplose nei cieli della solitudine

Nell’orrore del domani

E nelle carezze fatte di nulla

I poeti veri sono quelli

Che scrivono di notte con un grido

Quelli che attraversano invisibili lo sciame mediatico

E inchiodano un verso

Sulle palafitte dell’umanità

E illuminano con un respiro

Il balbettio dei giorni bui.

 

Milano, 21.11.2016